USA e area euro, scambio di posto sull’outlook economico

Ken Orchard, Co-Portfolio Manager, Diversified Income Bond Strategy, T. Rowe Price, sostiene che Stati Uniti e Eurozona si stiano per scambiare di posto. Merito, evidentemente, del fatto che l’era delle sovraperformance dell’economia Usa rispetto all’Eurozona sta probabilmente per finire, almeno sulla base dei segnali in corso di emersione.

“Molti degli indici che misurano le sorprese in termini di dati rispetto alle previsioni ora segnalano punteggi inferiori per gli Stati Uniti rispetto all’Eurozona, per la prima volta dall’inizio dell’anno, implicando quindi un peggiore outlook di consensus per l’economia statunitense rispetto a quello europeo. Altri indici di sorpresa non hanno ancora mostrato dati a favore dell’Eurozona, ma indicano che il gap si sta assottigliando e se tale tendenza continuerà ci potrebbero essere implicazioni importanti per il dollaro e per i rendimenti dei Bund” – annuncia Orchard.

Gli indici di sorpresa riflettono la prestazione economica rispetto alle aspettative, ovvero la differenza tra ciò che mostrano i dati economici e quello che si aspettavano gli economisti.

In tal proposito, la solida crescita dell’Eurozona nel corso del 2017 ha condotto gli economisti ad alzare le loro aspettative di crescita, e dunque, quando la crescita ha iniziato a rallentare, a partire da febbraio 2018, l’indice di sorpresa dell’Eurozona è crollato. Dall’altra parte dell’Oceano, i tagli e gli stimoli fiscali hanno fatto sì che la crescita negli Stati Uniti superasse le aspettative degli analisti, conducendo l’indice di sorpresa Usa a livelli superiori.

Adesso che i dati iniziano a convergere tra loro, l’Eurozona sta mostrando una crescita più stabile mentre i dati Usa stanno iniziando a rallentare: dunque, è possibile che possa realmente avvenire uno scambio di posto tra le due macro-regioni.

Si noti come – sostiene l’analista – vi siano diversi motivi alla base del rallentamento della crescita nell’Eurozona nei mesi scorsi, compresi un euro più forte, il clima, e un rallentamento della spesa pubblica in Germania, tutte situazioni che si sono poi capovolte – ci rammenta ancora l’esperto di T.Rowe Price. “Anche la crociata di Trump sul commercio ha influenzato il sentiment degli esportatori europei, anche se è probabilmente troppo presto per vedere un impatto notevole sul livello effettivo di produzione e investimenti. Le vere conseguenze delle politiche commerciali di Trump probabilmente verranno percepite tra un po’ di tempo, ma se saranno i Paesi europei o gli Stati Uniti ad essere colpiti di più dipenderà più che altro dalla risposta degli altri Paesi” – aggiunge.

Più difficile da valutare è lo scenario nordamericano. I limiti in termini di capacity sono un fattore importante, con l’ultimo indice PMI che ha evidenziato come le aziende statunitensi abbiano incontrato alcune difficoltà nel supportare il rapido ritmo della crescita di nuovi ordini nella prima metà dell’anno, per una mancata sorpresa, considerato che il ciclo sta avanzando e il tasso di disoccupazione è basso. Il mercato immobiliare è più debole del previsto, in parte a causa del deterioramento dell’accessibilità, ma anche per la discrepanza tra offerta e domanda.

Sulla base di tutti questi fattori, aggiunge ancora Orchard, “che cosa ci possiamo aspettare dalle banche centrali? La BCE ha già dichiarato che non alzerà i tassi fino a settembre o ottobre 2019, e sebbene la crescita dell’Eurozona si sia stabilizzata a un ritmo notevole (attorno all’1,6% a/a), questo dato non è ancora abbastanza forte per suggerire che la banca centrale modificherà i propri piani. L’outlook di rallentamento per gli Stati Uniti pone alcuni dubbi su quanto ancora la Fed continuerà con le politiche restrittive. Una visione condivisa anche dai mercati, che dopo l’incontro di settembre stanno prezzando solo due ulteriori rialzi dei tassi da parte della Fed (uno a dicembre e uno a marzo)”.

L’esperto sostiene anche come, però, vi sia un’interessante disconnessione tra i tassi e i mercati valutari. Il dollaro deve infatti ancora attraversare una fase negativa, implicando di conseguenza che i mercati delle valute stanno ancora sostenendo l’ipotesi di un’economia forte negli Stati Uniti e debole nel resto del mondo. Considerato che la valuta verde di norma reagisce ai tassi forward di breve termine sulle differenze tra i tassi di interesse, tutto questo alla fine dovrebbe portare il dollaro a indebolirsi rispetto all’euro.

Si tenga anche conto che perfino i rendimenti dei Bund potrebbero aumentare se l’indice di sorpresa economica dell’Eurozona dovesse continuare a migliorare. “La nostra analisi mostra che la probabilità di una crescita dei rendimenti dei Bund aumenterà in maniera significativa, via via che gli indici di sorpresa passeranno da essere negativi ad essere positivi. Al momento, i tassi valutari impliciti stanno prezzando un rialzo dei tassi della BCE di soli 100 punti base in totale nel corso dei prossimi 5 anni, il che sembra essere in contrasto con la stabilizzazione della crescita del PIL oltre il suo potenziale. Anche un modesto irripidimento della curva dell’aspettativa sui tassi potrebbe portare i rendimenti dei Bund ad aumentare di circa 25 punti base. Per questo motivo stiamo sottopesando i Bund, nonostante una miriade di preoccupazioni geopolitiche e di questioni riguardanti i Mercati Emergenti” – conclude Orchard.

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