Trading con società cinesi a rischio con guerra finanziaria Usa-Cina?

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La guerra tra Stati Uniti e Cina da commerciale diventa finanziaria e a rimetterci potrebbe essere l’attività di trading sulle azioni cinesi. E’ questo il sospetto che aleggia tra gli investitori a seguito della decisione del Senato americano di approvare una proposta di legge durissima che impedisce alle società cinesi di quotarsi a Wall Street attraverso IPO. Non solo. La nuova normativa anti-cinese appravata dal Senato Usa, blocca anche la possibilità, prevista fino a ieri, che società cinesi raccolgano fondi presso gli investitori americani attraverso emissioni e vendita di azioni.

Al di là del contorto linguaggio usato dal Senato, il rischio concreto è che la nuova normativa anti-cinese impedisca ad alcuni colossi asiatici, come Alibaba, di proseguire l’attività di trading negli Stati Uniti. Secondo gli analisti di Renta4, inoltre, c’è il rischio che altri grandi gruppi intenzionati a quotarsi sui listini americani, come ad esempio Softbank, siano costretti a fare marcia indietro.

Insomma la nuova normativa che il Senato americano ha approvato potrebbe gettare ulteriore benzina sul fuoco della tensione tra i due paesi.

Secondo gli esperti di Link Securities, la decisione del Senato Usa di varare un disegno di legge così stringente e capace di mettere a rischio il trading su società cinesi, è una sorta di rappresaglia scattata dopo che la Cina si era mostrata riluttante a “consentire l’accesso di routine agli audit richiesti dalle autorità di regolamentazione statunitensi (PCAOB e SEC)”.

A tal riguardo gli analisti ricordano che tutte le società che vendono le loro azioni pubblicamente negli Stati Uniti sono tenute per legge ad essere sottoposte all’attività di revisione contabile “da parte di società sotto la supervisione del loro organismo di regolamentazione, il PCAOB, cosa che la Cina si è finora rifiutata di fare per le sue società“.

La proposta del Senato americano ha già incassato l’approvazione dell’American Securities Association, associazione che unisce le società finanziarie di piccola dimensione. L’ASA, con un comunicato, ha precisato che “per troppo tempo, società fraudolenti cinesi hanno avuto libero accesso ai mercati americani, sfruttando gli investitori americani. Ora è il momento di mettere al primo posto gli investitori americani e giocare alla pari“.

Ricordiamo che quella del Senato, per ora, è solo una proposta di legge che per diventare effettiva avrà bisogno del via libera della Camera dei rappresentanti e quindi dell’ok definitivo del presidente Trump.

Guerra finanziaria Cina-Usa: effetti sulle borse europee

Dietro al ribasso che le principali borse europee registrano oggi (in basso il grafico sull’andamento dell’EuroStoxx 50) ci sono proprio le notizie in arrivo dagli Stati Uniti. Agli investitori una nuova stagione di scontro tra Usa e Cina non va giù soprattutto se il braccio di ferro passa dall’ambito commerciale a quello finanziario.

Secondo Serenity Markets ad oggi non è più solo il coronavirus il principale motivo di tensione sui mercati ma anche la forte crescita delle tensioni commerciali tra Usa e Cina che, a loro volta, si nutrono anche delle accuse reciproche tra i due paesi sul mancato contenimento dell’epidemia.

A tal riguardo l’esperto ha ricordato che gli Stati Uniti, per gettare ulteriore benzina sul fuoco, hanno anche pubblicato un durissimo report in cui si accusa Pechino di gravi violazioni dei diritti umani.

IPO sul Nasdaq cambiano le regole?

In questa intricata disputa tra i due Paese che ogni giorno che passa sembra peggiora sempre di più, è sceso in campo anche il Nasdaq. Secondo alcune indiscrezioni la piattaforma starebbe prendendo in considerazione la possibilità di imporre paletti precisi nelle operazioni di IPO.

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In particolare il Nasdaq potrebbe imporre l’obbligo di raccolta di almeno 25 milioni di dollari con le operazioni di IPO o in alternativa il 25% del valore di capitalizzazione post-listing per tutte le società estere (comprese quelle cinesi).

La mossa del Nasdaq non sarebbe casuale. La decisione di stringere le maglie, infatti, potrebbe essere arrivata a seguito dello scandalo contabile che ha travolto il colosso Luckin Coffee che era sbarcato a Wall Street, a seguito di IPO, nei primi mesi del 2019. Il mese scorso Luckin Coffee era stata costretta ad ammettere che il suo direttore generale aveva falsificato i dati sulle vendite. La società, dopo aver verificato l’illecito, aveva licenziato il suo amministratore delgato, il direttore generale e aveva anche sospeso sei dipendenti. Questi provvedimenti, però, non avevano salvato il titolo che era stato immediatamente sospeso. Lo stop alle azioni Luckin Coffee, scattato il 7 aprile, è durato fino a ieri. Adesso la società è in attesa di altre richieste da parte del Nasdaq ma il rischio è che il colosso asiatico possa essere delistato dalla borsa americana.

Il caso Luckin Coffee potrebbe essere la goccia capace di far traboccare il vaso. Il classico evento che, in una fase di altissima tensione come quella attuale, potrebbe essere usato dagli Usa per modificare le regole sulle IPO.

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