La denuncia dei ristoratori “metà dei lavoratori al mare con lo spritz” e la colpa è del reddito di cittadinanza

In Italia i tassi di occupazione erano bassi e preoccupanti già prima del Covid-19, ma ora la situazione è decisamente peggiorata. Non si tratta certo di una sorpresa, visto che le attività sono state costrette a tenere abbassate le saracinesche in cambio di pochi spiccoli tra bonus, proroghe delle scadenze e ristori vari, ma per alcuni imprenditori si presenta anche un altro problema proprio ora che si dovrebbe ripartire.

Gli imprenditori “capiamo che sia più comodo restare a casa con il RdC”

Ne hanno parlato alcuni imprenditori salentini, il problema è quello della carenza di personale, un ostacolo che effettivamente non ci si aspetta in questo contesto. “È inammissibile che in un Paese dove la disoccupazione è aumentata a dismisura, le persone non vogliano lavorare” dice uno degli imprenditori che hanno esposto le proprie perplessità.

“Capiamo che sia più comodo stare a casa con il reddito di cittadinanza, bonus famiglia e disoccupazione, e che non si possa rinunciare alla bella stagione” dice ancora il titolare di un noto ristorante leccese “nonostante tutto non molleremo e ce la metteremo tutta, anche stavolta” afferma mosso da spirito da stacanovista per poi incolpare di questa situazione “l’inettitudine di terzi”.

Il riferimento sembra proprio essere a coloro che invece di lavorare preferiscono restare a casa a godersi i vari sussidi di cui sopra. Insomma il problema, per come ci viene descritto da alcuni imprenditori, è che la gente preferisce accontentarsi di quattro spiccioli restando a casa invece di lavorare, ma sarà proprio così?

La memoria va istitinvamente all’inchiesta portata avanti da Il Fatto Quotidiano sulla riviera romagnola di cui abbiamo scritto appena un paio di giorni fa, ed in quel caso la colpa non era tanto del reddito di cittadinanza quanto delle condizioni di lavoro indegne fatte di salari da fame e giornate lavorative infinite.

150 mila lavoratori in meno nel settore della ristorazione

Cerchiamo prima di tutto di capire cosa sta accadendo. Secondo la Fipe Confcommercio mancano all’appello circa 150 mila lavoratori nel settore della ristorazione. Mancano barman, cuochi, camerieri che, a detta di alcuni imprenditori, evidentemente preferiscono prendere i soldi, anche se pochi, senza lavorare.

La colpa è del RdC, su questo alcuni imprenditori sembrano non avere dubbi. “Facciamo i conti con il problema della carenza di personale di sala e nelle cucine: le persone non ci consegnano più curriculum e nessuno bussa più alla porta” e ancora “l’assistenzialismo potrebbe produrre danni. Il fenomeno non è nuovo e già dal 2017 notiamo questa tendenza: il numero di curriculum consegnati è calato progressivamente”.

Un altro imprenditore leccese conferma il quadro tratteggiato dal collega: “il reddito di cittadinanza ha lasciato a casa molte persone e rappresenta un incentivo al ‘non lavoro‘. Se lo Stato garantisce 800 euro al mese è chiaro che le persone poi preferiscono andare al mare anziché cercarsi un’occupazione. Lo farei anche io. Il reddito non è misura di sostentamento sociale al pari della cassa integrazione o del sussidio di disoccupazione”.

“Metà della forza lavoro potenziale è al mare con lo spritz”

A determinare questa situazione però contribuisce anche un altro fattore. “Gli uffici di collocamento non funzionano a dovere” ammette un imprenditore, che comunque tiene a precisare che il lavoro che offre la sua impresa “è tutelato e regolato dal contratto nazionale di categoria che definisce anche il pagamento degli straordinari”.

“Non esiste ristorante in regola che non applichi il contratto nazionale” precisa ancora l’imprenditore salentino che aggiunge: “ogni tanto leggo dichiarazioni del tipo ‘mi fanno lavorare 14 ore al giorno per 400 euro’: è una barzelletta e chi accetta condizioni del genere è un cretino”.

Eppure le offerte di lavoro che i ristoratori emiliano-romagnoli avevano descritto davanti ai candidati in sede di colloquio erano proprio queste, e sono state registrate dalle telecamere nascoste. Risulta difficile a questo punto sostenere che quelle dei lavoratori sfruttati per oltre 12 ore al giorno siano ‘barzellette’. 

L’imprenditore conclude poi lamentando che “intanto il settore è in affanno perché metà della forza lavoro potenziale sta al mare e pubblica foto con gli spritz, mentre l’altra metà si è giustamente riciclata in un’altra professione”.

Irregolarità nel 73% di hotel e ristoranti

A sentire gli imprenditori sembra proprio che in giro sia pieno di gente che non ha voglia di lavorare, che sputa su dignitosissime offerte di lavoro preferendo rimanere a poltrire a casa accontentandosi di quattro spiccioli tra reddito di cittadinanza, bonus e sussidi vari.

Poi però ci viene in mente l’inchiesta condotta nei giorni scorsi da Il Fatto Quotidiano sulla riviera romagnola e qualche dubbio inizia a sorgere. Non solo, se diamo un’occhiata ai dati emersi dall’ultimo report dell’Ispettorato del lavoro, scopriamo che sono state accertate irregolarità in circa il 73% di hotel e ristoranti.

Il report evidenzia come ad essere interessati da una presenza media di lavoratori non in regola siano proprio i settori dell’alloggio e della ristorazione. A seguire troviamo poi agricoltura, manifatturiero e altri servizi alle imprese.

Per quanto riguarda hotel e ristoranti è stata accertata la presenza di 4.830 lavoratori “in nero” sul totale di 10.472 violazioni accertate. A primo acchito sembra che tutto sommato il numero delle violazioni non sia poi così alto, ma bisogna tener conto di quanti erano gli agenti impegnati nei controlli.

Dallo stesso Ispettorato infatti fanno sapere che alla data del 31 dicembre 2020 “la consistenza del corpo ispettivo effettivamente adibito alla vigilanza era complessivamente pari a circa 3.000 unità” 300 delle quali peraltro impegnate in compiti di polizia giudiziaria. I controlli che vengono effettuati, e non è certo una sorpresa, non sono neppure minimamente adeguati all’enorme mole di lavoro da svolgere in questo ambito.

I datori di lavoro, naturalmente, assicurano di applicare alla lettera i contratti collettivi, prima di lamentarsi che se non si trova manodopera è colpa del reddito di cittadinanza. Intanto però dall’ANLS (Associazione Nazionale Lavoratori Stagionali) fanno sapere che una delle maggiori criticità sta proprio nei bassi salari e negli orari di lavoro che non vengono mai rispettati.

Parlando con Today.it il presidente del sindacato, Giovanni Cafagna, ha spiegato che “in pratica si lavora sette giorni su sette, anche per 70-80 ore a settimana”, e questo sembra proprio confermare il quadro emerso dall’inchiesta de IlFatto.it, e di certo non avvalora la tesi di alcuni imprenditori.

È chiaro che non tutti gli imprenditori sono uguali e non tutti offrono condizioni di lavoro tutt’altro che allettanti, ma affermare che se non si trova manodopera disponibile è colpa del reddito di cittadinanza appare quantomeno fuori luogo.

Inoltre bisogna considerare che con il reddito di cittadinanza vengono erogati mediamente 580 euro a nucleo familiare – somma che peraltro nelle Regioni del Nord si riduce ulteriormente – ed è difficile credere che la maggior parte di coloro che percepiscono il sussidio preferisca vivere al di sotto della soglia di povertà quando invece potrebbe percepire tra i 1.200 e i 1.400 euro al mese con un contratto a norma di legge e orari di lavoro trasparenti.

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