Test sierologici coronavirus, il governo ne ordina 4 milioni ma ne fa solo 70 mila e ora stanno scadendo

Non è andato esattamente come da previsioni, il programma di test sierologici messo in campo dal ministro della Salute, che come riportato dall’Ansa a fine aprile, prevedeva di fare 4 milioni di test entro la fine di maggio. Ora siamo quasi a metà luglio, e di test sierologici per il coronavirus ne sono stati fatti molti, ma molti meno di quanti erano in programma.

“Entro fine maggio la Abbott conta di distribuire in Italia 4 milioni di test” leggiamo sull’Ansa, che riporta la dichiarazione dell’azienda farmaceutica statunitense vincitrice del bando indetto dal governo per la fornitura di test sierologici in Italia nell’ambito dell’emergenza Coronavirus.

“Il nuovo test ha dimostrato specificità e sensibilità superiori al 99 per cento 14 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi” ha dichiarato la Abbott, spiegando anche che in un migliaio di laboratori dislocati in diverse città d’Italia sarà possibile analizzare fino a 200 test per ora.

“Siamo orgogliosi di aver potuto rendere fruibile immediatamente in Italia anche il nuovo test anticorporale che potrà aiutare a individuare chi ha contratto il virus contribuendo ad aumentare la fiducia ora che ci apprestiamo a tornare gradualmente alla nostra vita” ha detto ancora Luigi Ambrosini, direttore generale e Ad di Abbott Italia.

La Abbott Italia è infatti l’azienda che ha vinto il bando indetto dal governo per la fornitura dei test sierologici. Il test ha ottenuto il marchio CE, come sottolineato dallo stesso Ambrosini, che ha poi spiegato che “il test IgG SARS-CoV-2 identifica l’anticorpo IgG, una proteina prodotta dall’organismo nelle fase avanzate dell’infezione e che potrebbe persistere per mesi e forse anni dopo la guarigione“.

L’uso dei test sierologici avrebbe dovuto rappresentare un passaggio fondamentale da compiere nell’avvio della cosiddetta Fase 2. Verificare quanti Italiani hanno contratto il virus, magari inconsapevolmente quindi con sintomi lievi, e sviluppato gli anticorpi, avrebbe permesso di tracciare una sorta di mappa del contagio, mettendo a disposizione degli esperti maggiori dati riguardanti la diffusione del coronavirus in Italia.

Il flop dei test sierologici, di chi è la colpa?

A fine aprile sull’Ansa leggevamo della gara vinta per la fornitura da parte della Abbott di 4 milioni di test sierologici da fare entro fine maggio. Ora siamo quasi a metà luglio, e come riportato da IlFattoQuotidiano, i reagenti scadranno tra qualche giorno col risultato che i test sierologici rimasti inutilizzati dovranno essere cestinati.

Qualcosa evidentemente non ha funzionato come previsto, a cominciare dalla risposta dei cittadini ai quali il noto quotidiano assegna gran parte della responsabilità del flop dei test sierologici. “la ‘colpa’, oltre che una partenza a diesel dell’indagine, difficoltosa in alcune regioni d’Italia, è stata soprattutto dei cittadini” leggiamo testualmente.

Molti cittadini infatti non hanno dato la propria disponibilità a fare il test, probabilmente perché c’è un livello di fiducia estremamente basso nelle istituzioni, e magari anche nel test. Ora, se i cittadini non si fidano delle istituzioni magari la colpa è proprio delle istituzioni, ma in questo caso specifico direi che buona parte del motivo risiede nel fatto che i test sierologici della Abbott non risultano essere così affidabili.

Ma come funzionano questi test sierologici? Ne parla anche Matteo Gracis, direttore e CEO di Dolcevita Magazine, in un video fatto a fine aprile, nel quale mostra in modo chiaro come si fa il test e quale sia la sua affidabilità.

Il test sierologico prodotto dalla Abbott, che in teoria permette di sapere se hai contratto o meno il coronavirus rilevando la presenza degli anticorpi, può essere fatto in qualsiasi istituto pubblico o privato, per un costo che si attesta intorno ai 50 euro.

Gracis racconta quindi la sua diretta esperienza con il test sierologico della Abbott: “io l’ho fatto attraverso una clinica privata, qualche giorno fa (24 aprile ndr) spendendo, o meglio buttando via 50 euro” perché dice ‘buttando via’? Perché il test non è in grado di dire con certezza se il soggetto ha effettivamente contratto il coronavirus oppure no, per una serie di motivi.

“Il test è risultato negativo” spiega quindi il giornalista “ma mentre lo stavo facendo, gli stessi infermirei che mi hanno fatto questo test mi hanno detto: ‘guarda, se risulti positivo, al 95% questo test è attendibile, ma se risulti negativo non sappiamo nemmeno noi la percentuale di attendibilità di questo test’. Non solo” continua Gracis “mi hanno anche detto che secondo tutti i sintomi che io ho avuto ormai più di un mese fa… molto probabilmente io il Covid-19 me l’ero fatto”.

Il test sierologico della Abbott però è risultato negativo, non è riuscito insomma a rilevare gli anticorpi in un soggetto che evidentemente il covid-19 lo aveva avuto. Ma come mai? “Per due motivi principalmente, e me li hanno spiegati gli infermieri che me lo hanno fatto”.

Quali sono i due motivi? Il giornalista li riporta così come gli sono stati illustrati dagli infermieri che gli hanno fatto il test sierologico della Abbott. “Il primo motivo è che molto probabilmente il Covid che io ho fatto si è sviluppato in maniera molto lieve rispetto ad altre forme molto più aggressive, e facendo il coronavirus in questa maniera lieve, non si sono sviluppati gli anticorpi e quindi il test sierologico non li vede”.

“Il secondo motivo potrebbe essere che il ceppo di Covid-19 che io ho fatto oltre un mese fa non è il ceppo che questo test sierologico riesce a individuare“. In conclusione appare chiaro che il test sierologico della Abbott evidentemente non serve a molto, e viene da domandarsi quindi: è davvero ‘soprattutto colpa dei cittadini’ come dice IlFattoQuotidiano? O forse è colpa del fatto che il test non serve praticamente a nulla?

Ma soprattutto, non sarà che visti i palesi ed enormi limiti di questi test sierologici prodotti dalla Abbott (una casa farmaceutica con un fatturato di circa 18 miliardi di dollari l’anno) che erano da tempo sotto gli occhi di chiunque ne conoscesse le basi del funzionamento, era il caso di evitare di ordinarne 4 milioni?

E qui si torna al discorso della poca fiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni. D’altra parte se è questa l’attenzione con cui vengono compiute determinate scelte, evidentemente tutta questa fiducia le istituzioni italiane non la meritano.

Ordinati 4 milioni di test, programmati 150 mila, fatti 70 mila

Su IlFattoQuotidiano leggiamo del triste, ed ormai molto vicino, epilogo della vicenda dei test sierologici della Abbott. Mancano pochi giorni, visto che i reagenti scadono a metà luglio, per completare almeno l’80% del campione il cui totale è rappresentato da 150 mila soggetti in tutto, dei quali sono stati testati solo 70 mila, meno del 50%.

L’indagine organizzata dal ministero della Salute, in collaborazione con l’Istat e con la Croce Rossa Italiana doveva durare solo due settimane, ma alla fine lo studio si è protratto per oltre un mese e mezzo e soprattutto sembra ormai giunto al capolinea ben prima di aver raggiunto il target che era stato prefissato.

Alle chiamate della Croce Rossa Italiana, che sono state fatte interamente da volontari, hanno risposto in maniera affermativa solo 70 mila persone su 150 mila, dando la propria disponibilità a sottoporsi al test sierologico che in teoria dovrebbe essere in grado di dire se si è entrati in contatto con il coronavirus oppure no.

I cittadini scelti per i test spesso non hanno dato la propria disponibilità. Su IlFattoQuotidiano leggiamo che “molti non rispondono alle chiamate, arrivate in alcune regioni addirittura a 15 volte per ogni numero, altri invece rispondono seccamente, declinando l’invito a partecipare. Altri ancora, racconta qualche operatore del call center, insultano chi chiama, chiudendo il telefono in faccia“.

Appare comunque doveroso spezzare una lancia a favore dei cittadini, che di chiamate da presunti call center ne ricevono fin troppe, ed è comprensibile quindi che in molte occasioni non siano molto inclini ad ‘alzare la cornetta’ o ad ascoltare quello che l’interlocutore ha da dire.

Su IlFattoQuotidiano si parla poi della disomogeneità sul territorio, con regioni in cui gli operatori sono arrivati a richiamare fino a 40 volte lo stesso cittadino che non risponde al telefono, e che il sistema informatico conteggia come ‘provvisorio’.

Si è anche provato a richiamare i ‘no certi’ pur di provare a convincerli, ma pare che nella maggior parte dei casi non sia servito a molto. Poi ci sono anche le gioni in cui i numeri da chiamare non sono ancora stati tentati tutti. In alcuni casi ad esempio manca il numero relativo al nominativo da chiamare, e quindi va ricercato nei database delle Aziende sanitarie regionali oppure tramite i Comuni.

Ci sono però anche dei cittadini che vorrebbero, o meglio avrebbero voluto sottoporsi al test, e che hanno provato a contattare le Asl ma senza successo. Infatti molti si sono chiesti se non sarebbe stato più utile un campionamento che tenesse sempre conto di età e sesso, utili ai fini epidemiologici, ma che fosse su base volontaria.

In questo modo sarebbe stato molto più facile raggiungere i target che erano stati prefissati in fatto di numero di test sierologici eseguiti, invece così sono stati spesi molti soldi per ottenere dei risultati del tutto insoddisfacenti.

Quanto è costata l’indagine epidemiologica?

Come era facile immaginare, l’indagine epidemiologica non è esattamente a costo zero. Sul decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 maggio con il titolo “Misure urgenti in materia di studi epidemiologici e statistiche sul SARS-CoV-2” per la sua realizzazione è stata sostenuta una spesa da parte dello Stato di circa 4 milioni di euro.

I soldi sarebbero arrivati, secondo quanto riportato da IlFattoQuotidiano, dalle risorse assegnate al Commissario straordinario all’emergenza, Domenico Arcuri. A questi si aggiungevano poi i fondi messi a disposizione dall’Istat.

220 mila euro sono stati spesi per la realizzazione della piattaforma tecnologica e 700 mila per la conservazione dei campioni raccolti presso la banca biologica, istituita all’Istituto Spallanzani di Roma” leggiamo sul noto quotidiano italiano.

Viene inoltre specificato che per il lavoro svolto dalla Croce Rossa Italiana la spesa sostenuta ammonta a 1,7 milioni di euro, mentre l’acquisto dei “dispositivi idonei alla somministrazione del test sierologico” vale a dire i test della Abbott in parole povere, il “fondo a disposizione era di 1,5 milioni di euro”.

Ora però i reagenti stanno per scadere, manca infatti meno di una settimana, e a quel punto l’indagine dovrà per forza di cose interrompersi, naturalmente senza aver raggiunto nemmeno il 50% del campione.

A questo punto se proprio si vuole insistere su questa strada, per terminare l’indagine epidemiologica il Governo dovrebbe autorizzare l’acquisto di nuovi reagenti, spendendo ovviamente altri soldi, ma fortunatamente pare che questa ipotesi si possa scartare.

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