salari ocse

L’Italia perde ulteriore terreno nella competizione salariale internazionale. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio JobPricing evidenzia come il nostro sistema retributivo continui a mostrare segni di debolezza strutturale. Con una retribuzione media annua di 48.874 dollari, il Belpaese si trova ora in ventiduesima posizione tra i 34 Stati membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, perdendo una posizione rispetto alla precedente rilevazione.

Il divario con i partner europei si amplia

La distanza dalle principali economie continentali appare sempre più marcata. Il gap con la media OCSE raggiunge il 16%, con una differenza di quasi 10.000 dollari rispetto al benchmark di 58.232 dollari annui. Questo posizionamento colloca l’Italia dietro alle maggiori potenze economiche europee, evidenziando criticità nella competitività del mercato del lavoro nazionale.

Le economie leader nell’area OCSE

I dati rivelano una classifica dominata dai Paesi del Nord Europa e dalle economie più dinamiche:

  • Lussemburgo: 89.767 dollari annui
  • Islanda: 87.421 dollari annui
  • Svizzera: 83.332 dollari annui
  • Norvegia: posizioni di vertice
  • Danimarca: tra i primi dieci Paesi

All’opposto della graduatoria si posizionano le economie emergenti, con il Messico che registra appena 20.474 dollari annui, seguito da Grecia e Ungheria.

Analisi del contesto europeo: l’Italia fatica a tenere il passo

PaesePosizione OCSERetribuzione annua (USD)Differenza con Italia
Germania12°~65.000+16.126
Francia13°~63.500+14.626
Spagna19°~52.000+3.126
Italia22°48.874Base

Nel contesto dell’Eurozona, l’Italia occupa la decima posizione su diciassette Paesi analizzati. Questo dato sottolinea come anche all’interno dell’unione monetaria europea il nostro sistema retributivo presenti delle lacune rispetto ai principali partner commerciali.

Il nodo del cuneo fiscale: una zavorra per la competitività

Il peso della tassazione sul lavoro rappresenta uno dei principali ostacoli alla crescita delle retribuzioni nette. Con un’incidenza del 45,1% sul costo complessivo del lavoro, l’Italia si colloca tra i Paesi con la pressione fiscale più elevata in ambito europeo. Solo il Belgio supera il nostro Paese con un cuneo fiscale del 52,7%.

La distribuzione del carico tributario rivela peculiarità significative: il 24% del costo del lavoro grava sulle imprese, mentre i lavoratori sostengono direttamente il 6,6% attraverso le trattenute fiscali. Questa ripartizione differisce sostanzialmente dalle scelte adottate da altri Stati membri.

Modelli fiscali a confronto: strategie diverse per obiettivi comuni

L’analisi comparativa evidenzia approcci diversificati nella gestione della fiscalità del lavoro. La Danimarca ha optato per un modello che concentra il prelievo esclusivamente sul reddito dei lavoratori (35,8%), eliminando completamente i contributi previdenziali sia per le aziende che per i dipendenti.

La Francia ha scelto invece di privilegiare il carico sulle imprese (26,6%), mentre la Lituania presenta la situazione opposta con i lavoratori che sopportano il contributo più consistente (19,2%). Queste differenze riflettono filosofie economiche e sociali distinte nella gestione del welfare e della competitività aziendale.

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