Mercati emergenti: Opportunità per chi investe controtendenza

Il 2014 è un anno nuovo, ma non ha l’aria di un nuovo inizio per l’azionario dei mercati emergenti. L’indice MSCI Emerging Markets ha perso il 4% nei primi due mesi, dopo la flessione del 2,3% registrata nel 2013. In netto contrasto, l’indice MSCI World è sostanzialmente piatto, per lo stesso periodo, dopo aver guadagnato il 27% l’anno scorso[1]. In realtà, le azioni dei mercati emergenti mostrano un andamento decisamente peggiore in confronto ai titoli omologhi del mondo sviluppato fin dal 2010.

Oggi l’azionario emergente quota a uno sconto di circa il 30% rispetto a quello dei mercati avanzati, in termini di prezzo/valore contabile: è lo scarto più significativo dal 2005. Analizzando i dati dal 1996, le valutazioni attuali risultano vicine al punto di svolta minimo per l’azionario dei mercati emergenti. In passato, i multipli prezzo/valore contabile dell’asset class sono stati a questi livelli in circostanze come la crisi asiatica, l’11 settembre, la guerra del Golfo e la crisi finanziaria globale. A nostro avviso, questa situazione offre buone opportunità per gli investitori cosiddetti “contrarian”.

Anche la differenza in termini di rapporto utili per azione/prezzo (ossia l’inverso del P/E) tra le azioni dei mercati emergenti e sviluppati è risultata più ampia di quella attuale soltanto in corrispondenza degli eventi di crisi appena citati. L’analisi dei dati ha rivelato peraltro che l’azionario emergente non ha mai sottoperformato quello del mondo industrializzato, su un periodo di un anno, partendo da un divario significativo come quello odierno del rapporto utili per azione/prezzo.

UTILI MIGLIORI DI QUANTO SUGGERISCANO I MERCATI
Consideriamo le valutazioni un motivo più che sufficiente per guardare ai mercati emergenti oggi. Però ci sono dei rischi. Una delle principali fonti di preoccupazione è costituita dagli utili. Il ritmo di espansione degli utili è stato più sostenuto sui mercati sviluppati ma, a nostro avviso, non nella misura suggerita dalla sovraperformance dei titoli azionari. Gli utili per azione (EPS) delle aziende dei mercati emergenti sono stati inferiori del 15% negli ultimi anni, mentre i titoli hanno sottoperformato quelli delle controparti dei Paesi più avanzati del 35%. Di conseguenza, riteniamo che l’andamento sovraperformante dei mercati sviluppati sia riconducibile in larga misura all’umore degli investitori.

Parlando di EPS, è importante ricordare che il dato sugli utili aggregati nei mercati emergenti in genere è distorto dall’alta concentrazione nell’indice di società attive nel settore dei prodotti primari. Le valute dei Paesi emergenti in caduta libera hanno ulteriormente pesato sugli utili per azione, che vengono convertiti in dollari statunitensi a fini comparativi. Escludendo i produttori di commodity, gli utili dei mercati emergenti appaiono piuttosto robusti e anzi, l’EPS in Asia (dove le aziende legate alle materie prime sono in numero relativamente minore) è risultato il più alto fra tutte le regioni, dall’inizio della crisi finanziaria nel 2007/2008.

RIFORME INCORAGGIANTI IN CINA
La traiettoria dell’economia cinese è un’altra fonte di incertezza importante. In particolare, gli investitori temono l’eccessiva dipendenza del Paese dagli investimenti alimentati dai debiti come motore di espansione. Tuttavia, il governo ha annunciato l’anno scorso una serie di riforme volte a riequilibrare l’economia verso un modello più sostenibile, con una crescita più lenta trainata dai consumi interni. Una parte cruciale delle riforme proposte è imperniata sul costo del capitale. Lo scopo è consentire alle forze di mercato di dettare il costo di finanziamento e la direzione dei flussi di capitali.

Anche se i tassi d’interesse in aumento inizialmente potrebbero creare qualche problema, crediamo che a lungo termine il costo di finanziamento più elevato produrrà dei vantaggi, costringendo le imprese a fare un uso più efficiente dei capitali e a concentrarsi di più sui profitti. Probabilmente gli attori più deboli e meno capaci di generare redditività usciranno dal mercato, ma le imprese che restano saranno più competitive su scala globale. Di conseguenza, non siamo troppo preoccupati per le condizioni monetarie più restrittive: al contrario, riteniamo incoraggianti le mosse della banca centrale cinese volte alla contrazione della liquidità.

Gli investitori sono preoccupati anche per il livello di indebitamento in Cina. Se è vero che il sistema bancario potrebbe risentire delle sofferenze in aumento, è difficile quantificare l’entità del fenomeno, data la scarsa trasparenza del sistema bancario ombra. Tuttavia, vale la pena di sottolineare che la Cina ha un sistema bancario chiuso e ben capitalizzato, e che gli investitori non possono spostare i capitali altrove, se mai decidessero di ritirarli dai depositi. Inoltre, lo Stato controlla e, in ultima analisi, sostiene tutte le banche.

Di qui la difficoltà di valutare concretamente questi rischi. Ciò che invece si può stabilire con maggiore certezza è la valutazione del mercato. A tale riguardo, la Cina al momento risulta molto attraente, con le quotazioni ai minimi storici.

RISCHI POLITICI SPESSO ESAGERATI
Anche il rischio politico ha pesato sulla fiducia degli investitori, ultimamente. Oggi la probabilità di disordini politici è più alta nei mercati emergenti che in quelli sviluppati, ma del resto è sempre stato così. Quello che conta, però, è il legame con le valutazioni degli asset finanziari. Mercati come la Turchia, la Thailandia e l’Egitto presentano chiari rischi politici. Tuttavia, a nostro avviso, gli investitori tendono a reagire in modo eccessivo all’aumento dei rischi a breve termine. Quando le quotazioni azionarie crollano in risposta alle crisi politiche, in molti casi abbiamo riscontrato che si creano punti di ingresso favorevoli.

Al di là dell’instabilità politica in alcuni Paesi, diverse nazioni in via di sviluppo, tra cui il Brasile e il Sudafrica, andranno al voto quest’anno e ciò innervosisce gli investitori. Siamo moderatamente ottimisti sulle elezioni imminenti: in genere, quando le economie sono in difficoltà e la popolarità dei governanti in carica è a rischio, le riforme sono il primo punto dell’agenda di tutti i partiti. L’elezione di governi orientati alle riforme dovrebbe avvantaggiare questi mercati, in un’ottica di più lungo periodo.

CRISI DI NERVI DA TAPERING
La decisione della Federal Reserve statunitense di ridurre lo stimolo economico, con il ritiro graduale della liquidità, ha certamente destabilizzato gli investitori, innescando una fuga di capitali dai mercati emergenti negli ultimi mesi. Tuttavia, secondo uno studio di Barclays, i flussi netti di capitali verso le economie emergenti negli ultimi dieci anni sono derivati interamente da investitori istituzionali. Inoltre, durante il periodo di sottoperformance dei mercati emergenti, dal 2010 in poi, questi soldi non si sono mossi. La recente emorragia di capitali è riconducibile prevalentemente agli investitori privati, mentre i soggetti istituzionali hanno mantenuto le posizioni.

OPPORTUNITÀ PER CHI INVESTE A LUNGO TERMINE
Indubbiamente ci sono dei rischi all’orizzonte per i mercati emergenti, ma siamo convinti che, con le valutazioni vicine ai livelli di crisi, molti di tali rischi siano già scontati, se non addirittura esagerati, nelle quotazioni attuali. A nostro parere, gli investitori sono troppo pessimisti e hanno un atteggiamento eccessivamente cauto. I fondamentali societari sono nel complesso piuttosto solidi. In base a diversi parametri, le azioni dei mercati emergenti appaiono scontate in confronto alle rispettive medie di lungo periodo. Non intendiamo azzardare previsioni sull’andamento futuro dei mercati azionari né annunciare la fine del periodo di sottoperformance. Tuttavia, in un’ottica di lungo periodo, riteniamo che le valutazioni attuali siano convenienti e che il mercato presenti un’abbondanza di opportunità per gli investitori attivi.

[1] Dati al 21 febbraio 2014 in dollari USA
[2] Fonte: EPFR Global, Barclays Research. Dati dal 2004 al 2014, flussi misurati in dollari USA

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