Il FMI ci spiega perché bisogna stare (davvero) attenti alla guerra commerciale

Il Fondo Monetario Internazionale ha segnalato qualche giorno fa che crescenti e sostenuti conflitti commerciali tra Stati Uniti e Cina (e non solo) sono sempre più probabili, e che un simile scenario potrebbe danneggiare la ripresa economica fino a farla “deragliare”, deprimendo le prospettive di sviluppo a medio termine.

L’FMI, in un aggiornamento delle stime di crescita del World Economic Outlook, ha infatti affermato che gli Stati Uniti, in quanto oggetto di ritorsioni tariffarie da parte dei partner commerciali, sono particolarmente vulnerabili a un rallentamento delle esportazioni. Un’escalation delle tariffe a livello globale, come quella minacciata da Stati Uniti, Cina e altri Paesi non solo sarebbe in grado di avere un effetto diretto sulla domanda, ma avrebbe anche la contemporanea conseguenza di aumentare l’incertezza, danneggiando gli investimenti.

“Il nostro modello suggerisce che se le attuali minacce alla politica commerciale si realizzeranno e la fiducia delle imprese diminuirà, la produzione globale potrebbe essere di circa lo 0,5% inferiore alle proiezioni attuali entro il 2020”, ha detto in una nota il capo economista del FMI Maury Obstfeld.

“Come fulcro delle rappresaglie globali, gli Stati Uniti saranno interessati da una quota relativamente elevata delle proprie esportazioni, tassate nei mercati globali in un conflitto commerciale ampio e duraturo, assumendo così una posizione particolarmente vulnerabile”, ha aggiunto Obstfeld.

Il FMI ha comunque per il momento lasciato invariate le sue previsioni di crescita globale al 3,9% per il 2018 e per il 2019, rispetto alle stime precedenti, pubblicate ad aprile. Anche le previsioni per gli Stati Uniti e la Cina sono rimaste invariate, con uno sviluppo economico USA del 2,9% nel 2018 e del 2,7% nel 2019. La crescita della Cina era prevista al 6,6% nel 2018 e al 6,4% nel 2019.

Tuttavia, il Fondo ha scelto di tagliare le sue previsioni di crescita per il 2018 per i Paesi della zona euro, il Giappone e la Gran Bretagna, citando una performance del primo trimestre più morbida del previsto, unita a condizioni finanziarie più rigide, in parte a causa dell’incertezza politica, come determinanti di tale decisione.

Nel dettaglio, le previsioni di crescita per il 2018 della zona euro sono state ridotte al 2,2% dal 2,4%, con la Gran Bretagna che dovrebbe calare all’1,4% dall’1,6%. La proiezione di crescita del Giappone è stata ridotta all’1% dall’1,2%.

Il Fondo monetario internazionale ha anche ridotto le previsioni per il 2018 per alcuni Paesi dei mercati emergenti. Si nota, in particolare, un taglio di mezzo punto percentuale per il Brasile all’1,8% a causa degli effetti persistenti degli scioperi del lavoro e dell’incertezza politica.

Il Fondo ha inoltre ridotto il tasso di crescita dell’India di un decimo di punto al 7,5% a causa degli effetti negativi dell’aumento dei prezzi del petrolio sulla domanda interna e di un inasprimento della politica monetaria più rapido del previsto, a sua volta determinato dall’aumento dell’inflazione.

Il Fondo monetario internazionale ha poi rivisto leggermente le previsioni per il 2018 per l’Arabia Saudita e diversi paesi del Commonwealth degli Stati indipendenti diversi dalla Russia.

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