L’euro non è certo la valuta internazionale di riserva per la quale le Banche Centrali scelgono di scendere a patti pur di aggiudicarsene in grande quantità: a ricordarlo, nel corso degli ultimi giorni, è l’economista francese Jaccques Sapir, che servendosi di un grafico del Fondo Monetario Internazionale, sostiene che sul piano internazionale le riserve di euro stanno costantemente diminuendo.
In particolare, ricorda Sapir, nel corso degli ultimi anni il crollo dell’euro come valuta internazionale di riserva sarebbe stato non solo costante, ma anche piuttosto consistente: dal 2009 ad oggi, infatti, le riserve in euro detenute dalle Banche centrali sono crollate dell’8 per cento, scendendo al di sotto del livello che era equivalente alla sommatoria delle riserve a suo tempo denominate in marchi tedeschi o in franchi francesi.
Ma quali considerazioni trarre da tutto ciò? L’economista non ci va giù leggero, e ricorda come tutto ciò dimostra che l’euro non è riuscito ad affermarsi come valuta di riserva internazionale. I Paesi preferiscono infatti preferire una maggiore diversificazione e, a dimostrazione di ciò, si noti come l’euro (e il dollaro), abbiano perso “quote” in favore di dollari australiani e canadesi e, ovviamente, di una valuta rifugio come gli yen giapponesi.
Tuttavia, quanto sopra non getta un velo totalmente nero sull’euro. Se infatti è pur vero che sul piano internazionale i risultati conseguiti dalla valuta unica europea sono stati tutt’altro che incoraggianti, è anche verso che sul piano interno la valuta unica europea ha prodotto risultati in linea con quanto atteso: la valuta ha inftti consentito alla Germania, che è il primo e principale patrocinatore del progetto, di poter accumulare le tanto contestate eccedenze commerciali, a deterioramento degli altri Paesi che sono coinvolti nel progetto. Una “frecciata” diretta a Berlino e alla sua storica condizione di surplus.
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