È probabilmente troppo presto per poterlo affermare con un ottica di brevissimo termine, ma nei prossimi mesi è molto probabile che la valuta unica europea possa avviare i motori di una strada di graduale ritorno su posizioni di maggiore forza nei confronti del dollaro statunitense.
Già ora, peraltro, i mercati hanno digerito e incorporato nei propri comportamenti l’avvenuto superamento dell’urgenza di un intervento attivo da parte della BCE in termini espansivi: un chiaro segnale di come in futuro la politica monetaria dell’istituto di Mario Draghi sarà più restrittivo, dipingendo così un quadro che più che prima che poi andrà a favorire il recupero del cambio EUR/USD verso quota 1,10 (una soglia che molti analisti ritengono che possa essere conseguita entro l’inizio del 2018).
Sul breve termine, bisognerà tuttavia dare un attento sguardo a quel che potrebbe accadere nella politica interna ed estera degli USA, oramai perno della bilancia geopolitica globale. Per il momento, si noti come l’attacco USA in Siria e le tensioni con la Corea del Nord non abbiano stravolto il quadro del dollaro, che seppur oggetto di maggiore volatilità non è comunque retrocesso come qualcuno temeva. Che sia figlio di una resilienza migliore delle attese o del fatto che il mercato non crede all’escalation di tensione, sarà il tempo a dircelo.
Occhi aperti infine alle prossime mosse della Fed. Le possibilità che il comitato di politica monetaria della banca federale possa ritoccare i tassi al rialzi nella prossima riunione di maggio ci sembrano molto basse, e il Beige Book in pubblicazione a metà settimana dovrebbe confermarlo. Superato lo scoglio di maggio, bisognerà prestare cautela alle pubblicazioni dei dati macro e dei discorsi dei membri Fed, che potrebbero fornire qualche utile indicazione sul possibile rialzo tassi di giugno, che per il momento sembra costituire lo scenario centrale degli analisti.
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