Si sta facendo sempre più grave la situazione evolutasi dopo la crisi sul referendum per l’indipendenza in Catalogna. Come purtroppo è stato ampiamente documentato dai media internazionali, e come peraltro era sufficientemente prevedibile, si sono infatti verificati dei duri scontri tra la polizia e i partecipanti al voto: l’esito è di diverse centinaia di feriti, con alcuni osservatori che hanno ritenuto il pur drammatico bilancio come “non lo scenario più grave”, lasciando così intendere che i disordini, per quanto estesi e profondi, non hanno sfociato in conseguenze definitive.
Secondo quanto affermato dal governo catalano, al referendum avrebbero votato 2,2 milioni di elettori, pari a circa il 42% degli aventi diritto, e tra questi il 90% avrebbe votato per l’indipendenza.
Ad ogni modo, è molto difficile cercare di comprendere quale possa essere l’effettiva attendibilità dei dati, considerato che l’intervento del governo centrale ha reso poco trasparente e non verificabile il processo di voto, che è stato prevalentemente condotto in violazione delle stesse regole fissate per lo stesso dal parlamento catalano.
In un comunicato televisivo, il primo ministro Rajoy ha poi dichiarato che il referendum era e resta illegale, giustificando così l’intervento energico della Guardia Civile con il bisogno di difendere la costituzione. Ulteriormente, il primo ministro ha anche dichiarato che se non avrà il completo appoggio dei partiti (socialisti inclusi), chiamerà le elezioni anticipate.
Dal canto suo, invece, il governo catalano, malgrado la consultazione non sia stata per nulla condotta secondo adeguate procedure di garanzia e malgrado il “si” sia stato espresso da una forte minoranza degli elettori, vuole procedere a senza indugi per poter far dichiarare al parlamento l’autonomia. Per questo motivo il parlamento catalano verrà convocato in seduta straordinaria nei prossimi giorni, al fine di discutere e approvare la dichiarazione di indipendenza. Il che significa, in fin dei conti, la volontà di non negoziare con il governo centrale e giungere a uno scontro diretto ancora più aspro.
Un simile scenario potrebbe nuocere alle quotazioni dell’euro, soprattutto nelle more di una presa di posizione della comunità europea, finora troppo silente.
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