Euro dollaro 2018, la riforma di governance europea sosterrà le quotazioni nel medio termine

Anche se è passato in relativo secondo piano rispetto ad altre notizie che negli ultimi giorni hanno interessato le pagine dei quotidiani finanziari europei, a molti non è sfuggito che la Commissione UE ha pubblicato un articolato paper denominato “Come completare l’unione economica e monetaria europea”. Ma perché i piani dell’UE potrebbero supportare il cambio euro dollaro, favorendo la valuta unica?

Il dossier, piuttosto complesso da sintetizzare, ha il merito di individuare una serie di misure che dovrebbero essere adottate nel corso dei prossimi 18 mesi con l’obiettivo di incrementare l’unità, l’efficienza e la legittimazione democratica della zona euro. Obiettivi piuttosto ambiziosi, che tuttavia potrebbero non essere così lontani dalla portata dei legislatori europei e delle parti in causa, soprattutto in un momento in cui appare sempre più chiara (si pensi all’influenza Brexit, ai rischi populisti, e così via) la necessità di un’accelerazione sul progetto europeo.

Più nel dettaglio, la proposta di riforma presentata dal Presidente Juncker ha preso il via dal rapporto dei 5 presidenti del 2015 e, di conseguenza, sul paper di riflessione su come potenziare l’Unione Europea di maggio scorso. La roadmap fissata dal dossier stima entro il 2018 il completamento dell’unione bancaria (con l’introduzione di un’assicurazione comune sui depositi, la DIS – Deposit Insurance Scheme) e la creazione di un backstop per il SRF (Single Resolution Fund).

Inoltre, la roadmap prevede che la Commissione entro il prossimo anno debba elaborare una proposta per poter implementare l’impianto di valutazione del rischio dei titoli sovrani nei portafogli bancari, come proposto dal Single Systemic Risk Board. Il rapporto propone poi entro il 2019 l’opportunità di adottare i provvedimenti legislativi che possano garantire obiettivi ancora più ambiziosi, come l’istituzione di un fondo monetario europeo e un accordo politico (per il momento, ancora in salita) sull’istituzione di un ministro delle finanze europeo.

Dunque, se la roadmap non dovesse incontrare turbamenti (potrebbero esserne, in verità, più di uno), il fondo monetario europeo dovrebbe diventare operativo tra il 2019 e il 2025, ricalcando l’architettura già vista con l’EMS, e preservando le attuali strutture finanziarie e istituzionali.

Il fondo avrebbe dunque come finalità quella di supportare gli Stati membri dell’area dell’euro in difficoltà finanziarie e di fornire il supporto comune al Fondo di risoluzione unico, agendo poi come prestatore di ultima istanza al fine di facilitare la risoluzione ordinata delle banche in difficoltà. Sono inoltre previste decisioni più rapide (attualmente è invece necessaria la maggioranza) in caso di urgenza, e ulteriormente un coinvolgimento più diretto nella gestione dei programmi di assistenza finanziaria.

Non è inoltre escluso che con il passare del tempo al fondo possa essere riconosciuta la possibilità di poter sviluppare nuovi strumenti finanziari.

Complessivamente, appare piuttosto chiaro come il rapporto della Commissione stabilisca certamente un’agenda ambiziosa di riforma della governace europea per il prossimo biennio. Il quadro macro economico di vasto sostegno sta peraltro creando una significativa occasione per poter riformare l’impianto istituzionale dell’Unione Europea, andando a perseguire quegli obiettivi da più parte richiamati.

Un impulso potrebbe darlo peraltro l’assetto politico in formazione. Un nuovo governo di coalizione in Germania tra Merkel e SPD, che sembra per il momento essere lo scenario più probabile, potrebbe essere favorevole al dialogo sui temi europei, lungo le linee proposte da Macron in Francia. Vanno tuttavia arginati i principali ostacoli che arriveranno, come la gestione dell’establishment e dell’opinione pubblica di molti Paesi europei, che rimangono contrari a cessioni di sovranità fiscale e fermi su una gestione di eventuali crisi future sulla base di processi di mercato.

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