Crisi, 10 anni dopo: quali i maggiori pericoli del 2019?

Sono passati 10 anni dalla crisi di Lehman Brothers che, idealmente (e sostanzialmente) ha dato il via alle lunghe criticità globali. Oggi il mondo sembra un poto più sicuro ma… è giusto affermarlo in maniera così netta e semplicistica? O ci sono dei pericoli che sarebbe opportuno tenere in considerazione in vista dei propri investimenti nel 2019?

Per formulare una risposta possiamo fare riferimento alle riflessioni di Keith Wade, Chief Economist & Strategist di Schroders, che pone sotto la lente 3 possibili pregiudizi.

Vulnerabilità dei mercati emergenti

La situazione odierna di alcuni mercati emergenti è più delicata di qualche anno fa. Rispetto al passato gli emergenti sono più dipendenti dal capitale esterno, come peraltro recentemente dimostrato recentemente dalla pressione scatenata dall’aumento dei tassi da parte della Fed e dalla riduzione della liquidità sulle valute emergenti e sulle riserve valutarie.

Insomma, “guidati dalla Cina, altri mercati emergenti potrebbero entrare in deficit – ci ricorda l’esperto – . Inoltre, il surplus visibile è sotto pressione a causa della guerra commerciale, dato che gli Stati Uniti stanno chiedendo una riduzione di 200 miliardi di dollari del deficit bilaterale. In secondo luogo, il deficit invisibile dovrebbe continuare a crescere via via che sempre più cinesi viaggiano all’estero. Anche questo tuttavia dipenderà dagli sviluppi negli Stati Uniti”.

Il deficit delle partite correnti negli Stati Uniti

Anche se il deficit delle partite correnti negli Stati Uniti è molto diminuito nel corso degli ultimi 10 anni, è possibile che l’inversione sia prossima, a causa dell’espansione della politica fiscale sotto l’amministrazione Trump e il conseguente aumento del deficit di bilancio. Se così fosse, è possibile che – ricollegandoci a quanto sopra – i mercati emergenti possano evitare la caduta nel deficit e tornare anche se temporaneamente al surplus.

Detto ciò, il finanziamento del deficit delle partite correnti USA non dovrebbe essere particolarmente problematico, anche se la politica monetaria in normalizzazione in varie parti del mondo dovrebbe rendere gli asset statunitensi meno attraenti e, dunque, il finanziamento si baserà su termini meno favorevoli.

L’euro tornerà forte

L’area euro è sorretta dalla Banca Centrale Europea (BCE) e dalle sue politiche ultra-accomodanti. E così si può dire per l’euro, considerato che le iniziative di cui si è detto hanno condotto gli investitori fuori dall’euro verso altre valute alla ricerca di rendimenti. La normalizzazione della politica monetaria BCE potrebbe far emergere le nuove pressioni verso l’apprezzamento.

“Sulla base di questa analisi e guardando alle linee di frattura che potrebbero innescare la prossima crisi, potrebbe valere la pena focalizzarsi sull’Eurozona, che al momento presenta una combinazione tra un surplus delle partite correnti e una valuta debole solo grazie a una politica monetaria straordinariamente accomodante – afferma l’esperto – In un mondo perfetto, la ripresa dell’Eurozona sarebbe accompagnata da tassi di interesse più elevati e da una valuta stabile. Nella pratica, ciò potrebbe dimostrarsi una sfida complessa. La BCE sta infatti cercando di lasciare la presa senza un apprezzamento significativo dell’euro e il rischio è di far deragliare l’attività nella regione. Come avvenuto in Giappone (un’altra economia con un surplus delle partite correnti che fatica a creare inflazione), l’Eurozona corre poi il rischio di trovarsi bloccata con una politica monetaria molto accomodante per un periodo indefinito”.

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