Mentre l’incertezza attorno alla Brexit continua a restare molto alta, State Street Corporation ha pubblicato i più recenti risultati del cosiddetto indice Brexometer, un indicatore diffuso ogni tre mesi che misura il sentiment degli investitori istituzionali sull’impatto economico della Brexit. Parlando di sentiment in questo articolo si farà quindi riferimento alle conseguenze della Brexit. L’attenzione sui possibili effetti della Brexit si affianca ad altre questioni aperte sui tempi. Non è quindi un caso che parole con ricerche molto alte su internet siano: Brexit conseguenze ma anche Brexit quando ci sarà.

L’indagine oggetto del post fa riferimento al primo trimestre 2019 (è quindi attualissima) e si basa sul giudizio di 100 investitori professionali globali tra i quali istituzionali, hedge fund, società di real estate e di private equity. Il giudizio è stato raccolto nel periodo compreso tra il 31 gennaio e il 10 febbraio 2019. Dall’indagine condotta è emerso che la propensione ad avere attività economiche nel Regno Unito nel primo trimestre 2019 ha subito una palarizzazione. In altre parole c’è stato un aumento sia del numero degli investitori intenzionati a ridurre le loro attività nel Regno Unito che di quelli che invece sono propensi ad aumentarle. Detto in questi termini mentre si è in attesa di sapere quando ci sarà la Brexit (qualcuno si spinge pure oltre e si chiede se ci sarà l’uscita del Regno Unito dall’UE), a regnare sia la confusione più profonda.

Non è quindi un caso se Michael Metcalfe, Responsabile Global Macro Strategy di State Street Global Markets, si sua spinto ad affermare che gli investitori hanno pareri sempre più discordanti. Il Brexometer del primo trimestre 2019 riflette quelle che sono le attuali condizioni del mercato che sono passate dall’ottimismo per un accordo imminente o per una proroga del termine ad un pessimismo che si nutre dei dubbi sulla possibilità che si possa davvero arrivare ad una intesa. A causa della mancanza di chiarezza sulla Brexit, il sentiment positivo ha registrato nel primo trimestre 2019 una dura battuta d’arresto scenendo al 32 per cento, il livello più basso degli ultimi anni. Il sondaggio ha anche messo in evidenza che per l’80 per cento degli intervistati la Brexit avrà un impatto sulle proprie scelte. In particolare il numero di coloro i quali si attendono un impatto significativo è salito al 22 per cento contro il 19 per cento della precedente rilevazione.

Il Brexometer ha poi messo in evidenza una serie di altre tendenze: il numero degli investitori che ritengono di aver bisogno di maggiore supporto nelle strategie di currency overlay ha registrato un aumento nel primo trimestre 2019 passando dall’8 per cento al 13 per cento; oltre un terzo degli investitori istituzionali intervistati ritiene che la sua società userà più sedi di domiciliazione cross-border per le attività legate ai fondi (la preferenza dei gestori va ovviamente all’Irlanda con il 46 per cento dei casi); il 29% degli investitori istituzionali ritiene è convinto che gli asset owner aumenteranno i livelli di rischio dei propri investimenti nell’arco di tre massimi cinque anni.

Ovviamente il livello di percezione della Brexit ha anche effetti sull’andamento della sterlina. Secondo Bill Street, responsabile degli investimenti per l’area EMEA di State Street Global Advisors, la moneta britannica è ancora sottovalutata a causa delle persistenti incertezze legate alla Brexit e ai conseguenti elevati rischi politici. L’analista ritiene che i movimenti dei tassi di cambio siano stati modesti. In particolare si è prima verificato un rally (nel momento in cui l’accordo sembrava più vicino) e poi un rallentamento, non appena le possibilità di arrivare ad una intesa sono scemate.

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