Il mandato della BCE prevede di alzare i tassi, ma è corretto seguire il mandato?

Un laptop mostra un grafico

Durante la conferenza stampa di giovedì scorso la Banca Centrale Europea ha messo le carte in tavola. Trichet e gli altri non sono nella condizione giusta per rischiare gli effetti di secondo round legati agli aumenti salariali. Secondo J.P. Morgan, la formula ‘forte vigilanza’ usata da Trichet durante il suo discorso a lungo meditato è stata sempre usata un mese prima di qualsiasi annuncio relativo a un ciclo di stretta monetaria. Non sorprende quindi che ci siano state vendite più decise dei Bund tedeschi e un forte apprezzamento della valuta europea. A questo punto un rialzo di 25 punti base a 1,25% in aprile è praticamente cosa fatta.
Quelli che criticano questo tipo di approccio hanno soppesato questa formula, ripetendo che si tratterebbe di errore politico da parte della BCE. Infatti, mentre si può constatare facilmente come i prezzi delle materie prime siano in deciso rialzo, si deve notare che sono pochi i segnali che farebbero credere a effetti di secondo round. Un esempio è il fatto che le trattative legate ai recenti aumenti salariali negoziati dai sindacati in Germania, il Paese dall’economia più solida in Europa, sono avvenute piuttosto in sordina.
È difficile ribattere alle affermazioni secondo cui gli aumenti dei tassi d’interesse aggiungeranno solo altra pressione ai Paesi periferici già in notevoli difficoltà. Se a questo si somma poi la disoccupazione a livelli strutturalmente elevati, la politica di austerità fiscale, e il sistema bancario seriamente compromesso, le prospettive non fanno ben sperare in una crescita.
Sappiamo che il primo e imperante obiettivo della Bce è quello di garantire la stabilità dei prezzi – nelle note della BCE infatti si dice “… nostro primario obiettivo è il mantenimento della stabilità dei prezzi per tutelare il bene comune” – in quanto la BCE ritiene che la stabilità dei prezzi sia un prerequisito per una crescita sostenibile nel lungo termine e favorire l’occupazione. Tuttavia, se dovesse fare una scelta tra proteggere il proprio livello di inflazione e la crescita economica, la BCE propenderebbe per la prima: ma è corretto pregiudicare le prospettive di crescita dell’Europa per ammorbidire un tasso di inflazione attualmente al 2,3%, soprattutto perché causato da fattori al di fuori del controllo della BCE?
Secondo alcuni, la BCE non dovrebbe essere così preoccupata dalla perdita della sua credibilità nel contrastare l’inflazione. Come ha notato infatti Adam Posen, membro della Commissione per la Politica Monetaria della Bank of England, in un suo recente discorso, la Bundesbank non ha perso la propria credibilità nel contrastare l’inflazione quando a seguito della crisi petrolifera del 1970, l’inflazione rimase per più di sei anni ben al di sopra del target del 2%. Posen sostiene che, sebbene inflazione e liquidità circolante superassero regolarmente i proprio target di riferimento, la Bundesbank riuscì a tenere le attese sull’inflazione ferme grazie alla “trasparenza e flessibilità della propria struttura monetaria.”
Forse la BCE dovrebbe ripensare seriamente alla propria strategia e alla possibilità di mettere in atto uno scenario simile. Anche se la BCE sta solo seguendo il proprio mandato, imbarcarsi prematuramente in un ciclo di stretta monetaria potrebbe avere conseguenze disastrose per alcuni Paesi della Comunità Europea e non solo.

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