The Economist pubblica uno speciale dedicato all’Italia

Un laptop mostra un grafico

The Economist pubblica oggi uno speciale dedicato all’Italia, il quale analizza le ragioni della mancata crescita del Paese negli ultimi 20 anni e si chiede se questa situazione possa cambiare a breve, in modo particolare con la prossima uscita di scena di Silvio Berlusconi dal ruolo di primo ministro.
Quest’anno ricorre il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, un evento a cui molti fanno risalire gli attuali problemi del Paese. Secondo l’analisi di The Economist, invece, questi problemi non sarebbero tanto da imputare a fattori storici quanto all’attuale situazione. In particolare, l’Italia ha difficoltà nell’affrontare grandi questioni tra cui l’impatto della globalizzazione e dell’immigrazione in un Paese caratterizzato da un severo protezionismo, gli effetti della gerontocrazia istituzionalizzata che rende difficile per i giovani costruirsi una carriera e il mancato rinnovamento delle istituzioni che risentono dei conflitti di interesse che coinvolgono magistratura, politica, media e imprese.
Il risultato è che l’Italia ha avuto il più basso tasso di crescita di tutti gli altri Paesi del mondo occidentale. Tra il 2000 e il 2010, il PIL italiano è cresciuto in media dello 0,25% all’anno – un dato allarmante, migliore solo rispetto a quello di Haiti e dello Zimbawe. Nonostante l’Italia abbia saputo evitare il peggio durante la recente crisi finanziaria globale, non ci sono segnali di una possibile inversione di tendenza rispetto alla crescita zero.
Scritto da John Prideaux di The Economist, il report sottolinea che, nonostante i problemi, l’Italia non è affatto un Paese in crisi. E’ ancora un Paese civilizzato, ricco, senza conflitti, con molti elementi apprezzabili, e non solo per la bellezza dei suoi paesaggi e delle sue città. Tuttavia, con Berlusconi che ipotizza di dimettersi nel 2013 dopo circa due decenni al potere, è ragionevole chiedersi se le cose possano cambiare per il meglio.
Il report analizza anche le numerose mancanze dell’attuale primo ministro nel suo lungo periodo al potere, in modo particolare l’ulteriore indebolimento delle istituzioni italiane e l’eccessiva tolleranza nei confronti dei conflitti di interesse.
Sicuramente il successore di Berlusconi potrebbe introdurre alcuni semplici e immediati miglioramenti con poco sforzo. Il report sottolinea la necessità di cambiare la legislazione del lavoro che favorisce gli anziani e l’urgenza di richiamare migliaia di giovani di talento che sono emigrati e che potrebbero avere un impatto positivo per il Paese.
Tuttavia, The Economist trae la conclusione che, nonostante questi cambiamenti siano possibili, è poco probabile che l’Italia cambi. Nonostante la bassa crescita, tale è la sua forza economica che l’attuale situazione potrebbe protrarsi quasi per sempre, il Paese diventerebbe poco a poco più povero e più vecchio, riuscendo però comunque a mantenere uno standard confortevole.

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