La flessibilità al lavoro sembrerebbe facilmente attuabile in teoria, tuttavia in pratica i pregiudizi di gran parte delle aziende in Italia, nei riguardi di questa nuova politica d’impiego sono ancora tanti dato che il nostro paese è ancora intrappolato in schemi lavorativi rigidi: lo dimostra il fatto che molti manager, nella valutazione dei dipendenti, si lascino fortemente influenzare dal presenzialismo, misurando il tempo trascorso in ufficio piuttosto che il risultato ottenuto; in poche parole mentre le politiche aziendali in grado di generare produttività in altri paesi europei e negli Stati Uniti si sono andate profondamente modificando negli anni, l’Italia è rimasta ferma al badge da timbrare, al part time, ai congedi o ai permessi, nonostante questi arcaici riti aziendali hanno dimostrato di poter pesare negativamente sui costi aziendali e sulla produttività.
Le forme di flessibilità lavorative spazio-temporali si sono rivelate vincenti negli ultimi anni non solo per le piccole e medie imprese – da sempre attente a ottimizzare le spese professionali – ma anche per le multinazionali – che non sono certamente aziende no profit, e se molti giganti dell’economia mondiale hanno scelto questo schema lavorativo, significa che la flessibilità è reale e paga in termini di produttività.
Prendiamo Nestlé, che da qualche anno si sta fortemente impegnando per promuovere la politica del “Work Life Balance”, volta a creare un giusto equilibrio tra vita professionale e privata dei propri lavoratori, o Siemens che fornisce ai dipendenti una valigetta con portatile e smart phone permettendo loro di lavorare da qualsiasi postazione dotata di accesso internet Wi-fi.
In Italia, pioniere assoluto resta solo Microsoft Italia che con il suo Innovation Campus di Peschiera Borromeo, oltre alla realizzazione di un campus tecnologicamente avanzatissimo costruito nel rispetto dell’ambiente, ha deciso di promuovere la flessibilità lavorativa utilizzando il nuovissimo “New World of Work”, un progetto volto a misurare i dipendenti su una scala di obiettivi da raggiungere piuttosto che alla presenza fisica in azienda, generando un flusso dinamico che partendo dal benessere del collaboratore porterà al raggiungimento dei traguardi preposti. Come? Iniziando a lavorare da casa e raggiungere l’ufficio in un secondo momento, oppure organizzando riunioni virtuali grazie all’impiego di uno smart phone ad esempio.
Il concetto di flessibilità lavorativa è una realtà già in tantissimi paesi, ma per una sua realizzazione ideale in Italia è necessario abbandonare preconcetti e schemi stantii e optare per una riorganizzazione delle politiche aziendali partendo da uno studio dei benefici apportati alle ditte che hanno fatto della flessibilità lavorativa un vanto, insieme a una collaborazione armonica di tutti i dipartimenti aziendali. E il resto verrà da sé.
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