Le famiglie con fonte principale da lavoro autonomo sono quelle più a rischio povertà. Lo afferma la CGIA di Mestre.
L’associazione degli artigiani indica che nel 2013 il 24,9 per cento delle famiglie dei lavoratori autonomi ha vissuto con un reddito disponibile inferiore a 9.456 euro annui (soglia di povertà calcolata dall’Istat). Praticamente una su quattro si è trovata in seria difficoltà economica.
Per quelle con reddito da pensioni, il 20,9 per cento ha percepito entro la fine dell’anno un reddito al di sotto della soglia di povertà, mentre per quelle dei lavoratori dipendenti il tasso si è attestato al 14,4 per cento (quasi la metà rispetto al dato riferito alle famiglie degli autonomi).
I dati elaborati dall’Ufficio studi della CGIA ci dicono che la crisi ha colpito soprattutto le famiglie dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti, dei liberi professionisti e dei soci di cooperative. Dopo quasi sette anni di crisi, il cosiddetto ceto medio produttivo è sempre più in affanno: oggi è il corpo sociale che più degli altri è scivolato verso il baratro della povertà e dell’esclusione sociale.
“A differenza dei lavoratori dipendenti – fa notare il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi – quando un autonomo chiude definitivamente bottega non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito. Ad esclusione dei collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione e di alcuna forma di cassaintegrazione in deroga e/o ordinaria/straordinaria. Una volta chiusa l‘attività ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di un nuovo lavoro. Purtroppo non è facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento costituiscono una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero”.
La CGIA fa notare che dal 2008 al primo semestre di quest’anno gli autonomi (ovvero, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, i liberi professionisti, i coadiuvanti familiari, etc.) che hanno chiuso l’attività sono stati 348.400: sempre in questo periodo la contrazione è stata del 6,3 per cento. La platea dei lavoratori dipendenti, invece, si è ridotta di 662.600 unità, ma in termini percentuali è diminuita “solo” del 3,8.
Secondo Bortolussi sarebbe quindi sempre più evidente che la precarietà nel mondo del lavoro si annida soprattutto tra il popolo delle partite Iva. “Detto ciò – ha aggiunto – la questione non va affrontata mettendo gli uni contro gli altri, ipotizzando di togliere alcune garanzie ai lavoratori dipendenti per darle agli autonomi, ma allargando l’impiego di alcuni ammortizzatori sociali anche a questi ultimi che, almeno in parte, dovranno pagarseli”.
La CGIA segnala perciò al Governo Renzi che la legge di Stabilità prevede pochissime misure a sostegno di questi lavoratori. Il regime fiscale agevolato, ad esempio, presenta molti ancora molti punti oscuri, il taglio dell’Irap non interesserà le attività che non hanno dipendenti, mentre sembra ormai sfumata l’ipotesi di estendere anche agli autonomi il bonus degli 80 euro.
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