Crisi: Dal 2007 persi 932mila posti di lavoro, più della metà al Sud

Dall’inizio della crisi al primo trimestre del 2015, in Italia si sono persi 932.000 posti di lavoro. Lo afferma la CGIA.

L’Ufficio studi dell’associazione degli artigiani ha analizzato il trend occupazionale del nostro Paese dopo che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha avvertito che senza una significativa accelerazione della crescita ci vorranno vent’anni per ridurre il tasso di disoccupazione ai livelli pre-crisi.

Le regioni meridionali le più colpite

In termini assoluti le regioni più colpite sono state quelle del Sud: in Sicilia gli occupati sono diminuiti di 168.000 unità, in Campania di 129.000 e in Puglia di 100.000. In tutte le regioni meridionali il calo occupazionale ha interessato 580.000 lavoratori (pari al 62,2 per cento del totale).

Tra le realtà territoriali del Nord, invece, spicca il dato negativo del Veneto: sempre tra il 2007 e i primi 3 mesi di quest’anno, in questa regione gli occupati sono scesi di ben 113.000 unità.

Tra tutte le realtà territoriali analizzate, le uniche che hanno incrementato l’occupazione sono state il Trentino Alto Adige (+11.000 occupati) e il Lazio (+88.000).

“I settori che hanno subito i contraccolpi più negativi – segnala Paolo Zabeo della CGIA – sono stati l’edilizia, il manifatturiero e il piccolo commercio che più degli altri hanno subito gli effetti negativi dovuti al calo della domanda interna e alla contrazione degli impieghi bancari”.

Il Mef contesta le stime del FMI

Intanto il governo italiano ha contestato l’analisi fatta dal FMI. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) indica in una nota che la stima dell’istituzione con sede a Washington (secondo la quale occorrerebbero 20 anni in Italia per riportare l’occupazione ai livelli pre-crisi) “è basata su una metodologia che non tiene conto delle riforme strutturali che già sono state introdotte (per esempio la riforma del mercato del lavoro e la riduzione della tassazione sul lavoro) né di quelle che sono in corso di implementazione (per esempio l’efficientamento della pubblica amministrazione)”.

Secondo il Mef la metodologia utilizzerebbe infatti previsioni di crescita del PIL che, prudenzialmente, non tengono conto dell’effetto delle riforme.

“Inoltre – aggiunge il Mef – anche l’effetto della crescita del PIL sulla occupazione (il cosiddetto coefficiente di Okun) è basato sulla esperienza passata, quella pre-riforme, e quindi non tiene in considerazione l’effetto che le riforme avranno sulla occupazione a parità di crescita”.

Il Mef conclude che i dati sull’andamento del mercato del lavoro degli ultimi mesi sembrano confermare l’impatto dell’azione congiunta delle riforme e della leva fiscale, con risultati migliori del aspettative.

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