Divieto di short selling? Ecco perchè è una distorsione dei mercati

Come noto a causa dell’emergenza coronavirus e del conseguente crollo dei mercati, molte borse hanno introdotto il divieto di short selling. L’obiettivo del provvedimento è quello di ridurre la spinta della speculazione che si annida nei contesti caratterizzati da alta volatilità. Su Borsa Italiana il divieto di effettuare vendite allo scoperto durerà tre mesi salvo revoca anticipata laddove le condizioni lo dovessero permettere. 

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A seguito dello stop allo short selling, la pressione sull’azionariato italiano (ma il discorso vale anche per le borse europee) sembra essersi allentata. Il blocco dello short selling non va a modificare quello che è il sentiment di fondo che, in questo periodo, era e resta negativo, ma riduce il peso della speculazione che, nell’ambito di una situazione drammatica come quella in corso, viene ritenuta una aggravante. 

Eppure non tutti sono concordi sull’opportunità di mantenere lo short selling per così lungo tempo. 

Ad esempio la Federazione mondiale delle borse (World Federation of Exchanges – WFE) ha criticato la decisione di molte autorità di introdurre divieti di vendite allo scoperto. Secondo la WFE, lo stop allo short trading sarebbe addirittura dannoso per i mercati. Secondo la Federazione, inoltre, non è detto che il divieto di vendite allo scoperto comporti il raggiungimento di quegli obiettivi per cui lo stop è stato adottato.

Prima di analizzare il punto di vista della WFE, ricordo che in Italia vige si il divieto di vendite allo scoperto ma non c’è il divieto di short trading attraverso i CFD

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Stop short selling: cosa pensa la WFE

Scrive in un comunicato stampa la Federazione Mondiale delle Borse, che le vendite allo scoperto rappresenta un’interferenza con il meccanismo di formazione dei prezzi e quindi aumenta l’incertezza. Secondo la WFE, lo stop allo short selling “può solo amplificare artificialmente la volatilità e la probabilità di default, l’effetto opposto a quello dichiarato, e ostacolare la capacità dei mercati di servire l’economia reale“. Per la Federazione Mondiale delle Borse, quindi, non è vero, e non è mai stato vero, che i divieti siano stati in grado di generare effetti positivi sull’attività di mercato e sul livello dei prezzi. 

Lo stop allo short selling, impedisce il corretto sviluppo del mercato anzicchè promuovere lo stesso. Questo avviene perchè il divieto di vendite allo scoperto non permette agli investitori di operare nel modo più efficace possibile. Il risultato è che le informazioni sui prezzi non sono più accurate e che quindi lo stesso principio della negoziazione viene meno. 

Short selling: ecco chi lo difende 

In questi giorni oltre alla Federazione Mondiale delle borse, anche altre associazioni e enti sono scesi in campo a difesa dello short selling e contro il divieto di vendite allo scoperto. 
Ad esempio la International Organization of Securities Commissions (IOSCO) ha più volte ribadito che è essenziale mantenere i mercati “funzionali durante questo difficile periodo”.

Lo scorso 17 marzo (ma allora si era solo all’inizio dell’emergenza), l’Autorità di Condotta Finanziaria del Regno Unito aveva diramato una nota con la quale affermava che il proprio approccio punta a “mantenere i mercati aperti che operano con integrità” rilevando come “la capacità di vendere allo scoperto può contribuire a questo, anche sostenendo un’efficace formazione dei prezzi, migliorando la liquidità e consentendo la gestione del rischio”. Short selling promosso quindi dalle autorità del Regno Unito. 

Secondo la Federazione delle borse mondiali, inoltre,il ribasso dei prezzi sta ad indicare “che le aziende dovrebbero essere meno redditizie in futuro“. Anche in un mercato in forte ribasso, la vendita allo scoperto è rappresenta solo una piccola parte dell’attività di mercato, davvero poca roba in confronto alla vendita di posizioni lunghe esistenti. Alla luce di questi elementi che purtroppo non vengono mai messi in giusto risalto, “i divieti di vendita allo scoperto rischiano di rafforzare la falsa idea che la rivalutazione dei prezzi rifletta un fallimento del mercato, piuttosto che una variazione del valore del bene“.

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