Selezionare società difensive non è più una strategia avversa al rischio

La selezione di società difensive, considerando l’attuale contesto di mercato, non rappresenta più una strategia così avversa al rischio, secondo quanto afferma l’affiliata di Legg Mason, Royce & Associates.

Frank Gannon, portfolio manager e responsabile degli specialisti small-cap, sostiene che gli investitori debbano riprendere a considerare e analizzare le azioni in quanto rappresentative di aziende, anziché limitarsi a cercare i titoli difensivi che mostrano i rischi più bassi in alternativa agli investimenti obbligazionari.

“Continuano a essere rilevanti gli effetti di una crescita globale ancora debole: le grandi multinazionali lottano per generare crescita top-line e gli investitori per individuare fonti di rendimento”, afferma. “Tuttavia, c’è da chiedersi se per gli investitori non sia finalmente giunto il momento di riprendere a considerare le azioni in quanto rappresentative di aziende e non come un’alternativa a titoli obbligazionari privi di rischio in un contesto di crescita fiacca”.

Per il quarto anno consecutivo, alla fine del primo trimestre sono emersi dei dubbi circa la crescita a livello globale, con una correzione del Russell 2000 (indice small cap dei titoli azionari USA) superiore al 5% da marzo a metà aprile, prima del consistente recupero durante le settimane successive del mese.

I rinnovati timori riguardo alla crescita, afferma Gannon, spiegano perché la sovraperformance dei titoli azionari più difensivi, a discapito dei settori più ciclici non sia una sorpresa.

“Dopo un guadagno del 26,6% nel 2012, i Real Estate Investment Trusts (REITS) contenuti all’interno dell’indice Russell 2000 sono saliti ancora del 18,8% durante i primi quattro mesi dell’anno, mentre le utility sono avanzate del 14,8%”, ci dice. “Dal nostro punto di vista però essere avversi al rischio, considerando l’attuale contesto di mercato, non implica necessariamente avversione al rischio: andare a caccia di rendimenti nei settori difensivi e cercare guadagni risk-free comporta un aumento del rischio di valutazione ed è uno degli effetti del mondo a crescita zero nel quale viviamo”.

Secondo Gannon, il paradosso di un simile contesto è che gli investitori dovrebbero invece concentrarsi sulle imprese migliori, caratterizzate da bilanci finanziari solidi indispensabili per prosperare in una realtà incerta. “Ciò detto, l’idea che i tassi sarebbero rimasti bassi per un tempo indefinito ha permeato il quadro degli investimenti proprio nel preciso momento in cui ci siamo lasciati alle spalle il re-rating del merito creditizio delle multinazionali più rischiose”, sostiene.

In Royce, il team è rimasto fedele alla convinzione secondo cui il free cashflow offre alle imprese la flessibilità necessaria per concentrarsi sull’efficace allocazione dei capitali.

“Abbiamo sempre preferito concentrarci sul rischio d’impresa tenendo un occhio sulle valorizzazioni”, aggiunge Gannon. “La nostra analisi si è focalizzata sul rendimento di cassa quale parametro essenziale nel determinare la valutazione assoluta di una società. Abbiamo sempre pensato che la generazione di free cashflow fosse legata alla capacità di un titolo di mantenere una crescita positiva dei profitti e di produrre elevati tassi interni di rendimento”.

“Grazie alla flessibilità offerta dalla presenza di flussi di cassa in eccesso, le società posso concentrarsi sull’efficiente allocazione dei capitali, la quale include spese in conto capitale, riacquisto di azioni proprie, pagamento dei debiti e perfino dividendi. Ciò è di fondamentale importanza nel contesto odierno, caratterizzato da una crescita fiacca, in cui le grandi multinazionali lottano per generare crescita top-line”.

Secondo Royce, un’allocazione prudente dei capitali rappresenta il catalizzatore di un ciclo d’investimenti significativo, una volta che si sarà dissipata la nebbia provocata dalla crescita economica ancora anemica e da tassi d’interesse prossimi allo zero.

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