Dopo il crollo dei prezzi immobiliari registrato in diversi Paesi avanzati durante e dopo la Grande Crisi Finanziaria, l’edilizia residenziale torna in auge. Si osservano infatti un forte rincaro delle abitazioni in varie aree degli USA e nel Regno Unito (soprattutto a Londra), e un iniziale rialzo in Germania. I prezzi cominciano a salire anche in Irlanda, esempio emblematico del boom e della crisi di questo settore. Ma quanto influiscono tali aumenti sull’inflazione? Non intendo gli effetti secondari dei rincari che alimentano le richieste di aumenti salariali, né il rincaro di idraulici e tappezzieri, bensì gli effetti diretti che i prezzi delle case, i costi dei mutui e gli affitti hanno sulle statistiche di inflazione. Un’altra questione riguarda la necessità di un intervento delle banche centrali sui prezzi degli asset.
La risposta alla domanda “Quanto influiscono i prezzi delle abitazioni sui dati inflazionistici?” Non è univoca, ma varia da Paese a Paese e anche all’interno di una stessa regione geografica, a seconda dei parametri di inflazione utilizzati. Tuttavia, poiché le decisioni delle banche centrali su tassi e QE si basano sui dati inflazionistici pubblicati, è importante capire come tali prezzi potrebbero modificare questi dati.
Negli USA
La voce “abitazione” rappresenta circa il 31% dell’indice CPI – utilizzato per determinare il pricing delle obbligazioni USA indicizzate all’inflazione (TIPS) – ma appena il 16% del Core PCE Deflator, l’indice target della Federal Reserve. Il PCE è un indice generico, fortemente esposto ai servizi finanziari e alla sanità, ma meno all’edilizia abitativa. Nel CPI, invece, questa componente ha più peso rispetto agli standard internazionali. Per l’Ufficio di Statistica del Lavoro USA (Bureau of Labor Statistics, BLS), il prezzo di acquisto di una casa è importante solo nella misura in cui incide sui costi di gestione sostenuti dai cittadini per il proprio alloggio. Per stimare tali costi il BLS adotta il metodo dei fitti figurativi, che consiste nel raccogliere dati sui canoni di affitto effettivi, oltre a chiedere ad alcuni proprietari di case quanto, secondo loro, costerebbe prendere in affitto l’abitazione in cui vivono (bollette e mobili esclusi). Sia nel CPI che nel PCE, i soli canoni di affitto di mercato hanno un peso pari a un quarto di quello dei fitti figurativi (Owners’ Equivalent Rent, OER). Questo crea dei problemi, non solo relativi alla precisione delle stime dei proprietari di case. Poiché i dati sull’inflazione contengono costi di affitto reali e ipotizzati e non i prezzi delle abitazioni, si possono verificare contemporaneamente una bolla del settore residenziale e una riduzione dell’impatto dei prezzi delle case sull’inflazione. In alcuni casi un’ondata di speculazione provoca un rialzo dei prezzi che sfocia però in un eccesso di costruzioni nuove (appena prima della crisi del 2008 le scorte di case negli USA superavano i 12 mesi rispetto ai 5 mesi circa del periodo pre-bolla) e quindi in una flessione dei canoni. L’opposto di quanto accaduto con la recente ripresa degli Stati Uniti. I prezzi delle case hanno continuato a scendere in picchiata; tuttavia, a causa delle difficoltà di accesso al credito, è aumentato il numero di persone costrette a ricorrere all’affitto; e con esso è salita la voce affitti nei dati sull’inflazione.
Nel Regno Unito
Nel Regno Unito occorre distinguere tra inflazione CPI (il target della Banca di Inghilterra) e inflazione RPI (la statistica utilizzata dal mercato dei bond indicizzati, quindi quella che sta più a cuore agli obbligazionisti). I prezzi delle case entrano direttamente nell’indice RPI, ma hanno uno scarso peso nel CPI, motivo per cui il recente trend rialzista del real estate britannico andrà ad ampliare il cuneo fra i due parametri – una buona notizia per chi investe nei bond indicizzati! L’RPI registra gli aumenti dei prezzi delle case in due modi: tramite i pagamenti degli interessi ipotecari (Mortgage Interest Payments, MIP) e tramite la svalutazione degli immobili residenziali. Le rate dei mutui aumentano all’aumentare dei prezzi delle proprietà, ma riflettono i cambiamenti dei tassi di interesse molto rapidamente. Per fare un esempio, Alan Clarke di Scotia stima che un rialzo dei tassi bancari di 150 punti base si ripercuoterebbe subito sull’RPI, con un aumento dell’1% sul tasso annuo, nonostante la tendenza degli Inglesi ad assumere mutui a tasso fisso. La svalutazione degli immobili, che non si riflette immediatamente sui prezzi delle abitazioni, è un tentativo di misurare il costo della proprietà (un po’ come i fitti figurativi del BLS). Tuttavia questo parametro è stato criticato perché sovrastima il costo della proprietà nelle fasi rialziste del mercato – l’inflazione dei prezzi delle case è quasi sempre data da un aumento del valore dei terreni e non dal rincaro di calce e mattoni. La terra non si svaluta come altri beni immobili poiché non è soggetta all’usura. La voce “abitazione” rappresenta ben il 17,3% del paniere RPI (8,6% affitti effettivi, 2,9% MIP, 5,8% svalutazione).
Il CPI inglese costituisce un parametro armonizzato dell’inflazione europea, ma tiene conto solamente dei costi delle case tramite un’esposizione del 6% agli affitti effettivi. Nell’UE non c’è mai stato accordo su come misurare l’aumento dei costi abitativi: i Paesi con un’alta percentuale di proprietari di case hanno infatti un punto di vista diverso da quelli con un’elevata percentuale di affittuari. Nel Regno Unito la spesa per la casa rappresenta circa il 10% delle uscite di un cittadino medio e l’ufficio di statistica britannico (Office of National Statistics, ONS) ritiene il che peso di questa voce nel CPI sia inadeguato. Per tale motivo l’ONS sta ora pubblicando il CPIH, che comprende anche i fitti figurativi (una misura del “prezzo che i possessori di case pagherebbero per prendere in affitto la propria casa” dal momento che l’abitazione è un “bene strumentale, e quindi non viene consumato, ma genera un flusso di servizi periodici”). Nel CPIH le abitazioni pesano per il 17,7%, tuttavia si tratta ancora di un indice sperimentale non utilizzato per i target ufficiali di politica monetaria.
Nell’area euro
Per misurare l’inflazione, la Banca Centrale Europea utilizza il CPI, con un target del 2%, o appena inferiore. Come già accennato, per la componente “abitazione” il parametro armonizzato pubblicato dall’Eurostat comprende solo gli affitti effettivi, che hanno un peso del 6%. Se pensate che l’inflazione (o la deflazione) dei prezzi delle case sia importante per i governi, considerate che probabilmente una percentuale così bassa non ha mai contato nulla da quando esiste l’area euro. Nonostante alcuni picchi di inflazione elevata in ambito residenziale (Spagna, Irlanda, Paesi Bassi), data la scarsa volatilità dei prezzi nei Big 3 (Germania, Francia e Italia) dubito che il CPIH sarebbe molto diverso. Attualmente si osserva un certo rialzo del mercato residenziale tedesco nelle regioni più prestigiose, mentre in Spagna e in Olanda i prezzi delle case restano in caduta libera. È inoltre interessante notare il peso degli affitti negli indici dei prezzi dei singoli Paesi: in Slovenia ammonta allo 0,7% del paniere inflazione, in Germania al 10,2%.
In Giappone
In Giappone la voce abitazione rappresenta il 21% del CPI complessivo. Come negli USA, anche qui le statistiche si basano sia sulle “stime dei costi di affitto di una casa di proprietà” sia sugli affitti reali. E anche in questo caso la percentuale di canoni ipotetici dei proprietari di case (15,6%) supera di gran lunga quella degli affittuari (5,4%): non si tratta di un dato preoccupante? Come potrebbe un proprietario ricavare il canone di affitto della propria abitazione leggendo queste statistiche? Io ci riuscirei solo cercando in internet quanto costa affittare una casa simile alla mia. Lo chiamate barare?
Allora perché la questione è così importante? Se non esiste correlazione fra inflazione dei prezzi delle case e prezzi al consumo, allora probabilmente non lo è. Tuttavia si intuisce l’importanza dell’impatto diretto sulle richieste di aumenti salariali da parte di lavoratori che devono fare i conti con l’aumento dei prezzi di acquisto delle abitazioni e dell’effetto positivo sui consumi di chi vede aumentare il valore dei propri immobili. Usando statistiche poco rappresentative del rapporto fra prezzi delle case e relativo impatto sull’inflazione, le banche centrali rischiano di trascurare questi fattori.
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