Il prezzo del petrolio ha chiuso anche ieri in rialzo. Il future sul WTI con scadenza novembre ha guadagnato al NYMEX lo 0,9% a 48,24 dollari al barile. Durante l’intero mese di settembre il greggio quotato a New York si è apprezzato del 7,9%. Si è trattato della migliore performance mensile da aprile.
Il future sul Brent con scadenza novembre ha perso ieri all’ICE lo 0,4% a 49,06 dollari al barile. Il contratto più attivo, quello a dicembre, ha guadagnato lo 0,8% a 50,19 al barile. A settembre il greggio estratto nel Mare del Nord si è apprezzato del 4,3%.
Il WTI ed il Brent hanno guadagnato la scorsa settimana rispettivamente l’8,5% ed il 6,9%. Mercoledì l’OPEC ha raggiunto, alla riunione informale di Algeri, un accordo preliminare per limitare la produzione per la prima volta da otto anni. La notizia ha spiazzato i mercati, scatenando una pioggia d’acquisti sul petrolio. Prima della riunione l’Arabia Saudita e l’Iran avevano infatti segnalato che un accordo era improbabile.
L’OPEC, che produce attualmente circa 33,2 milioni di barili al giorno, vuole mettere un tetto alla sua produzione tra 32,5 e 33 milioni di barili al giorno nel 2017. Non è molto, ma si tratta di un importante segnale verso la concorrenza, soprattutto quella da parte dei produttori russi e statunitensi, che hanno finora beneficiato delle divergenze all’interno del cartello. L’OPEC ha voluto mostrare unità e di essere ancora in grado di esercitare il suo potere di mercato.
Per entrare in vigore il patto stretto ad Algeri dovrà essere ratificato dai singoli membri alla riunione ufficiale dell’OPEC in programma il prossimo 30 novembre a Vienna. Molti esperti del settore hanno espresso scetticismo sul suo successo. In effetti l’accordo non include la Nigeria, l’Iran e la Libia. L’Iraq non accetta inoltre le stime dell’OPEC sui suoi livelli di produzione.
Bank of America Merrill Lynch ha osservato che i tagli alla produzione previsti dall’OPEC avranno bisogno di almeno sei mesi di tempo per aver un impatto sul mercato petrolifero.
Goldman Sachs ha avvertito da parte sua che se l’accordo dovesse essere rigorosamente attuato, sarebbe controproducente nel medio termine perché il conseguente aumento dei prezzi dovrebbe spingere le attività di perforazione attorno al globo.
La recente ripresa delle quotazioni sta avendo già un impatto sull’industria statunitense del petrolio. Ieri Baker Hughes (US0572241075) ha comunicato che il numero di impianti di trivellazione di greggio è aumentato negli Stati Uniti di 7 unità a 425 unità. Si è trattato del tredicesimo aumento nelle ultime quattordici settimane.
Il balzo del Brent e del WTI ha messo la scorsa settimana le ali ai titoli azionari delle compagnie petrolifere. L’indice settoriale NYSE Arca Oil Index è salito nelle ultime cinque sedute del 4,4%, mentre l’S&P 500 ha guadagnato solo lo 0,2%. Tra i grandi produttori statunitensi Exxon Mobil (US30231G1022) ha guadagnato il 4,6%, Chevron (US1667641005) il 3,7% e ConocoPhillips (US20825C1045) l’8,8%.
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