Petrolio: L’elezione di Trump avrà un impatto sulla produzione USA?

L’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti è considerata positiva per i produttori statunitensi di petrolio e gas, visto che il tycoon newyorkese ha promesso di rimuovere alcune barriere costituite dalla regolamentazione che secondo alcuni esperti ostacolano lo sviluppo del settore.

Solo il tempo potrà dire se le politiche dei Repubblicani forniranno un importante impulso all’industria energetica americana, cresciuta fortemente negli ultimi anni grazie alle tecnologie che permettono la produzione da giacimenti di scisto precedentemente non sfruttati.

Tuttavia l’espansione delle attività di esplorazione e produzione dipenderà soprattutto dall’andamento dei prezzi. Trump potrà allentare tutte le normative ambientali che vuole, ma se le quotazioni del petrolio resteranno a dei bassi livelli, i produttori saranno restii ad attivare le loro trivelle.

Nel breve termine è pertanto decisivo se i membri dell’OPEC riusciranno a raggiungere un accordo per implementare i previsti tagli alla produzione. Se il vertice del prossimo 30 novembre dovesse fallire i prezzi potrebbero tornare sotto 40 dollari al barile. In questo caso sarebbero di nuovo guai per i produttori sia negli Stati Uniti che attorno al globo.

Dopo essere scesa a febbraio ai minimi da tredici anni a 26,21 dollari al barile, la quotazione del WTI ha registrato una forte ripresa durante gli scorsi mesi per tornare ad ottobre sopra 50 dollari al barile. Tuttavia nelle ultime settimane la tendenza si è invertita. Il WTI ha chiuso venerdì a 43,41 dollari al barile.

Gli investitori sono sempre più scettici che l’OPEC riuscirà a realizzare il suo piano volto a frenare l’offerta sul mercato. Dall’ultimo rapporto dell’AIE, l’Agenzia Internazionale per l’Energia, è emerso giovedì che la produzione di petrolio del cartello è salita ad ottobre di 230.000 barili a 33,83 milioni di barili al giorno. Si tratta di un livello nettamente superiore al tetto di 32,5 – 33 milioni di barili fissato dall’OPEC come obiettivo alla riunione di Algeri di fine settembre.

E l’OPEC non è l’unico ostacolo ad un riequilibrio del mercato. Le forniture non-OPEC sono cresciute ad ottobre di 485.000 barili a 57 milioni di barili al giorno. L’AIE si attende che la produzione dei Paesi che non fanno parte dell’organizzazione salirà ancora nel 2017.

“Se i Paesi dell’OPEC implementeranno la risoluzione di Algeri, i conseguenti tagli alla produzione comporteranno che il mercato passerà da un surplus ad un deficit nel 2017 molto velocemente, anche se ci vorrà del tempo per consumare le considerevoli scorte residue”, ha spiegato l’AIE.

“D’altra parte – ha avvertito – se non sarà raggiunto un accordo e se alcuni membri dell’OPEC continueranno ad espandere la loro produzione, allora il mercato rimarrà in surplus per tutto l’anno, con scarse probabilità che i prezzi del petrolio salgano significativamente. Anzi, se il surplus di offerta dovesse persistere nel 2017, c’è il rischio che i prezzi cadano verso il basso”.

La recente ripresa delle quotazioni del petrolio ha spinto i produttori statunitensi ad incrementare la loro attività. Baker Hughes (US0572241075) ha comunicato venerdì che il numero di impianti di trivellazione di greggio è aumentato negli Stati Uniti la scorsa settimana di altre 2 unità a 452 unità. Si è trattato del decimo aumento nelle ultime undici settimane.

Alcuni progetti di scisto che non erano economicamente sostenibili hanno iniziato ad essere profittevoli. Se i prezzi dovessero salire a 60 dollari un vasto numero di giacimenti diventerebbe molto vantaggioso. L’offerta statunitense di petrolio dovrebbe aumentare sensibilmente. Al contrario, se i prezzi dovessero ricadere sotto 40 dollari al barile, molte compagnie tornerebbero ad avere problemi. La conseguenza sarebbe un rallentamento dell’attività produttiva.

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