Il prezzo del petrolio ha iniziato la settimana in calo. Il future sul Brent con scadenza marzo perde al momento all’ICE lo 0,4% a 56,86 dollari al barile. Il future sul WTI con scadenza febbraio scende dello 0,5% ai 53,74 dollari al barile.
L’Iran ha aumentato le sue esportazioni di petrolio, indebolendo in questo modo gli sforzi degli altri produttori volti a ridurre l’eccesso di offerta a livello globale. Teheran, che è stata esentata dai tagli dell’OPEC per poter riguadagnare quote di mercato dopo la fine delle sanzioni occidentali, ha venduto più di 13 milioni di barili contenuti nelle sue petroliere. Lo riporta Reuters.
L’agenzia stampa scrive che il volume del petrolio contenuto nelle petroliere iraniane è sceso da inizio ottobre da 29,6 a 16,4 milioni di barili. Prima di questo forte calo, era rimasto sostanzialmente invariato. All’inizio del 2016 era pari a 29,7 milioni di barili.
L’aumento delle esportazioni da parte dell’Iran non è stata l’unica notizia a segnalare un’elevata offerta sul mercato. L’attività di perforazione negli Stati Uniti si è intensificata, alimentando i timori che i tagli dell’OPEC possano essere resi vani dai produttori americani da scisti.
Baker Hughes (US0572241075) ha comunicato venerdì che il numero di trivelle attive negli Stati Uniti per estrarre greggio è aumentato la scorsa settimana di altre 4 unità a 529 unità. Si è trattato del decimo aumento settimanale di fila. Dai minimi da sette anni toccati lo scorso maggio 27, le trivelle sono aumentate in 29 delle ultime 32 settimane per complessive 213 unità. Di conseguenza, la produzione statunitense di petrolio è risalita, dai più bassi livelli del 2016, di più del 4% a quasi 8,8 milioni di barili al giorno.
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