Il G20 che si è concluso lo scorso fine settimane ha trascinato con se un esito non particolarmente gradito: gli Stati Uniti, che per decenni sono stati il simbolo della propensione agli scambi internazionali e alla globalizzazione, hanno compiuto un corposo passo indietro imponendosi contro tutti i propri partner e facendo sparire dal testo della dichiarazione conclusiva ogni impego a evitare il protezionismo, sostituendo il passaggio con un più ridotto impegno a “lavorare per rafforzare il contributo del commercio per le nostre economie“.
In merito, il segretario americano al Tesoro, Steven Mnuchin, ha chiarito la posizione americana in conferenza stampa, dichiarando che sulla sparizione del tradizionale impegno a contrastare il protezionismo, la posizione statunitense è che “la dichiarazione doveva riflettere la discussione“, e che “il linguaggio storico è irrilevante”. Mnuching si è poi soffermato sul fatto che il commercio deve essere “equo” nel senso che deve “correggere gli squilibri”.
Stando a quanto riepilogava la stampa giapponese in tal senso, la Cina avrebbe richiesto esplicitamente a Mnuchin di chiarire che cosa si intenda con il termine “equo”: a tale richiesta, il segretario di Stato americano avrebbe replicato che “il problema sono gli squilibri”, ovvero i flussi di esportazioni verso gli Stati Uniti.
Una posizione che ricalca quella già elaborata dal presidente Donald Trump durante il primo (e discusso) incontro con la cancelliera Merkel, nel quale è stato lamentato un trattamento definito “molto molto ingiusto” degli USA nei trattati commerciali, e ricordando che Cina e Germania sono i due principali player globali che esportano negli States.
Dinanzi a una simile svolta protezionistica statunitense, i mercati hanno reagito con qualche posizione di debolezza. Con Wall Street piatta, Piazza Affari perde lo 0,53 per cento, Francoforte lo 0,35 per cento, Parigi lo 0,34 per cento.
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