Con una improvvisa accelerazione mediatica, Donald Trump ha annunciato le linee guida di quella che dovrebbe essere la sua attesissima riforma tributaria, con particolare riferimento sulla tassazione sulle imprese: in campagna elettorale Trump aveva prospettato un taglio dal 35 per cento al 15 per cento e, effettivamente, sembra aver mantenuto il proprio intuito pre-elettorale, anche se le misure approvate sembrano discostarsi dal concetto di “rivoluzione” fiscale che aveva auspicato, per allinearsi a quelle di una corposa revisione dell’attuale sistema.
Peraltro, le novità non coinvolgono solamente le imprese, quanto anche le famiglie statunitensi, che potranno beneficiare della sostanziale cancellazione (ma non per tutte le ipotesi) della tassa di successione, e di una semplificazione delle imposte sui redditi delle persone fisiche, con rivisitazione di sole tre fasce di reddito, contro le sette attuali (e, dalle prime stime effettuate dagli analisti, dovrebbero effettivamente esserci risparmi soprattutto per i portafogli più benestanti).
Detto ciò, risulta di grande interesse cercare di capire quali saranno le conseguenze in vista sul dollaro, nei prossimi giorni. È infatti possibile che il mercato possa avere due tipi di reazioni: considerare il livello di dettaglio delle misure espansive sufficiente, e garantire alla valuta verde una buona ripresa, oppure ritenere il piano non così generoso o, comunque, non così credibile e rispettabile (ovvero, con il timore che possa poi essere modificato nel prossimo futuro, in senso restrittivo), e dunque mantenere in condizioni di debolezza relativa il dollaro.
Occhi aperti anche alle prime analisi sulla copertura della riforma. Renderla strutturale sarà molto difficile, ma è la strada che Trump dovrebbe seguire. Di contro, renderla temporanea potrebbe essere maggiormente alla portata, ma a livello di immagine segnerebbe comunque un punto non a favore dell’amministrazione statunitense…
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