Il dollaro negli ultimi giorni ha dato vita a una serie di correzioni piuttosto pesanti sui dati, rivedendo livelli minimi che erano stati abbandonati circa un mese fa.
Ad ogni modo, tale correzione non sembra preoccupare notevolmente gli analisti, che indicano nelle cause di questo comportamento sia l’evoluzione macro diffusa dalle più recenti statistiche, sia i contenuti dei verbali dell’ultimo FOMC, ma sottolineando altresì che probabilmente la reazione dei mercati è stata esagerata, e sostenuta da fattori tecnici e da volumi più rarefatti in vista della chiusura dei mercati per il Thanksgiving.
Soffermandoci infatti sul fronte dei dati, è emerso che gli ordini di beni durevoli hanno deluso mostrando una contrazione in ottobre contro attese per un rallentamento (il trend sottostante rimane comunque favorevole) mentre il dato sull’indice di fiducia elaborato dall’Università del Michigan ha sorpreso positivamente mostrando un incremento, sebbene le attese di inflazione abbiano poi mostrato un calo, e in questa fase è l’inflazione – e non la crescita – la variabile discriminante per l’azione di policy della Federal Reserve.
Per quanto poi concerne i verbali, i documenti diffusi hanno confermato la prospettiva di un rialzo dei tassi di interesse di riferimento nel corso del meeting di dicembre, l’ultimo del 2017, e hanno poi ribadito l’incertezza sulla dinamica dell’inflazione e quindi sul sentiero di rialzi relativo al 2018.
Ad ogni modo, per quanto densi di spunti, né i dati macro pubblicati né i verbali sono stati effettivamente in grado di modificare lo scenario macro USA. Ne consegue che, a meno che non vi siano degli sviluppi molto sfavorevoli, rimane spazio per un successivo recupero del dollaro USA, in prospettiva di un rialzo dei tassi Fed a dicembre e del varo della riforma fiscale USA entro l’inizio del nuovo anno.
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