Il dollaro statunitense ha aperto la settimana che si accinge allo scollinamento con delle prestazioni al rialzo. Il merito è probabilmente riconducibile a quanto avvenuto in Senato, dove è stata approvata la proposta di riforma fiscale. Guai, però, a pensare che il “peggio” sia definitivamente alle spalle: il rafforzamento è infatti stato piuttosto contenuto, andando ben a significare che ora il mercato è ben conscio che lo scoglio più duro da superare sarà quello della riconciliazione delle due versioni, della Camera e del Senato, che presentano delle differenze piuttosto significative (come quella legata al fatto che la proposta del Senato rinvia di un anno, al 2019, il taglio della tassazione per le imprese).
Ad ogni modo, nonostante ciò, riteniamo che la volontà comune delle parti di far passare una riforma entro fine anno possa avere la meglio e, dunque, non è escluso che si possa effettivamente trovare un accordo in tempi rapidi. Riteniamo dunque che nel corso dei prossimi giorni le notizie su questo fronte avranno la meglio per poter orientare il cambio, almeno fino a venerdì, quando verrà pubblicato il nuovo employment report, atteso peraltro positivo, soprattutto per quanto riguarda la dinamica salariale.
Parallelamente a quanto avvenuto sul dollaro, l’euro ha aperto la settimana in arretramento sul generale rafforzamento della sua controparte statunitense. Come già affermato, l’arretramento è stato comunque piuttosto contenuto, visto e considerato anche che la moneta unica rimane supportata sia dai dati sulla crescita dell’area, che rimangono positivi, sia dagli ultimi dati sull’inflazione, che hanno mostrato un aumento da 1,4% a 1,5% per la stima flash di novembre.
A questo punto riteniamo che sebbene i dati dell’area – fatte salve delusioni –possano ben continuare a offrire supporto all’euro, entro le prossime settimane dovrebbero essere gli sviluppi sul fronte USA – purché si confermino positivi – a prevalere nel guidare la dinamica del cambio.
Dunque, la prospettiva di un altro rialzo dei tassi di riferimento Fed al FOMC del 13 dicembre e la successiva entrata in vigore della riforma fiscale USA entro l’inizio del 2018 dovrebbero far rafforzare il dollaro, indebolendo di riflesso l’euro.
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