Coronavirus e conseguenze economiche, l’Italia è a rischio fallimento?

L’annuncio fatto dal premier Giuseppe Conte un paio di giorni fa, con il quale si comunicava il prolungamento delle misure restrittive fino al 13 aprile, non poteva che destare preoccupazione tra lavoratori e imprese, e quindi inevitabilmente famiglie, che purtroppo iniziano a temere il peggio.

Le misure restrittive produrranno gli effetti sperati, ne siamo sicuri, per quel che riguarda il contenimento del contagio, ma ci saranno conseguenze altrettanto tangibili sull’economia del Paese, e queste peseranno sulle tasche dei lavoratori, delle imprese che potrebbero non riaprire mai più, e delle famiglie che non possono reggere questa situazione a oltranza.

“Chiudere tutto” sarà anche l’unico modo per ridurre il rischio di contagio, ma il prezzo di questa soluzione sembra diventare troppo alto per poter essere pagato. È chiaro che la salute viene prima di tutto, e che non possiamo anteporvi interessi economici, però qui si parla di famiglie che rischiano di finire sul lastrico, parliamo di gente che non ha più i soldi per mangiare, e quindi parliamo comunque di salute.

E se i più a rischio quanto ad effetti del contagio sono i più anziani, nei quali il tasso di mortalità è estremamente più elevato che negli under 70, e quindi sono i primi a dover essere tutelati, proprio a loro tutela non ci si può non porre un’altra domanda: quanto reggerà l’INPS se le attività non riprendono? Se nessuno paga i contributi con cui vengono pagate le pensioni, per quanto tempo l’INPS potrà garantirle?

E non parliamo delle pensioni future, di quelle che, in linea sempre più teorica, spetteranno a chi oggi lavora e andrà in pensione domani, parliamo invece delle pensioni che vengono pagate agli anziani adesso, finanziate dai contributi di chi lavora, o meglio lavorava fino a prima del lockdown.

L’Italia rischia il fallimento?

La domanda è legittima, ed è più che comprensibile essere preoccupati per la situazione in cui versa il Paese, situazione che, stando al recente annuncio del premier, si protrarrà almeno fino al 13 aprile. Saltano quindi le festività di Pasqua e Pasquetta, con tutto ciò che ne deriva in fatto di mancati incassi specie per turismo, trasporti e ristorazione.

Questo prolungamento delle misure restrittive ci costa, secondo una stima della Confesercenti, qualcosa come altri 5 miliardi di euro di consumi, e quasi 8,5 miliardi di euro di PIL.

Se facciamo due conti vediamo che l’Italia ha già perso circa 30 miliardi di euro di consumi e 55 miliardi di PIL da quando è scoppiata l’emergenza coronavirus nel nostro Paese. Se la situazione non si sblocca in tempi brevi, le conseguenze sull’economia saranno ancora più disastrose, e potremmo arrivare alla fine dell’anno con una contrazione dei consumi di 83 miliardi di euro e una riduzione del PIL del 9%.

Si fa strada quindi il timore che, con un ulteriore prolungamento delle misure restrittive anche dopo il 13 aprile, che, ci teniamo a sottolinearlo, non è stato ancora comunicato e quindi non è assolutamente certo, molte imprese possano non riaprire mai più.

Servono massicce iniezioni di liquidità per tutte quelle imprese che devono essere in grado di pagare i fornitori anche se l’attività è ferma e non ci sono incassi, spiegano dalla Confesercenti. “Noi chiediamo un intervento straordinario per il credito alle imprese” chiariscono “bisogna mobilitare tutte le risorse possibili, mettendo in campo se necessario anche la CDP”.

“Serve una linea di credito speciale dedicata alle imprese con finanziamenti pari almeno al 25% dei ricavi conseguiti nell’anno precedente, con garanzia del Fondo Centrale” spiegano ancora “liquidità da erogare immediatamente con una previsione di restituzione a lungo termine”.

La situazione insomma, se le misure vengono ancora prolungate, non può che peggiorare notevolmente, specie per settori come il commercio, il turismo, i servizi, i trasporti e le professioni. Se non è ancora possibile prevedere nel breve termine una ripartenza del Paese, cioè una “riapertura” a giugno, la perdita sarà ben superiore a quella di 1 punto di PIL e 18 miliardi di consumi.

Se i numeri sul contagio non iniziano a migliorare in fretta, si cominicia a temere una riapertura completa solo ad ottobre, e questo sarebbe un disastro di dimensioni epocali. La riduzione dei consumi sarebbe di oltre 52 miliardi di euro, mentre il PIL scenderebbe del 3%.

In queste stime poi, la Confesercenti ha già conteggiato i provvedimenti contenuti nell’ultimo decreto. Insomma gli effetti del lockdown sull’economia italiana comporterebbero per il 2020 un calo di 23,4 miliardi di consumi per alberghi e ristorazione, di 16,5 miliardi per trasporti e acquisto autoveicoli, di 8,2 miliardi per cultura e tempo libero, e di 6,6 miliardi per il settore dell’abbigliamento.

Le stime dell’Istat, inflazione e prospettive in Italia

L’Istat ha fatto delle stime preliminari, secondo le quali nel mese di marzo 2020 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) al lordo dei tabacchi, ha registrato un incremento dello 0,1%, sia su base mensile che su base annua, mentre il mese precedente l’aumento era stato dello 0,3%.

A cosa è dovuta la decelerazione dell’inflazione? Il motivo va ricercato prevalentemente nella dinamica dei prezzi dei beni energetici non regolamentati, che hanno registrato una inversione di tendenza, da un +1,2% ad un -2,7%, ma anche dei servizi, per i quali invece si passa da una crescita dell’1,0% ad un +0,6%.

Dati che in parte risultano compensati dall’accelerazione dei prezzi del comparto alimentare e dei tabacchi appunto, da +0,4% a +1,2% per il primo, e da 1,5% a +2,5% per il secondo.

L’inflazione di fondo, sia al netto degli energetici e degli alimentari freschi, che al netto dei soli beni energetici, rimane stabile al +0,7%. intanto la variazione congiunturale dell’indice generale è dovuta all’incremento dei prezzi dei tabacchi, che crescono del 2,3% e, seppur in misura minore, a quello dei generi alimentari, che crescono dello 0,4%.

Per il 2020 l’inflazione acquisita è pari a zero per l’indice generale, mentre è del +0,2% per la componente di fondo. Le stime preliminari degli indici dei prezzi al consumo di marzo sono state elaborate nel contesto dell’emergenza coronavirus, e quindi in quello della chiusura delle attività dovuta al lockdown imposto dall’esecutivo per contenere il contagio.

L’indagine si è svolta attraverso l’utilizzo di diversi canali per l’acquisizione dei dati, il che ha consentito di circoscrivere gli effetti negativi dovuti all’alto numero di rilevazioni mancanti.

Festività di Pasqua a casa, gli effetti sui consumi

Con il prolungamento delle misure restrittive fino al 13 aprile saltano inevitabilmente le festività pasquali e con esse il ponte di Pasqua, che si traduce in un drastico calo dei consumi turistici, quantificati in 3,3 miliardi di euro per un totale di 10,5 milioni di viaggiatori che non partiranno mai. Questo quanto rilevato dalla Cst Firenze per Assoturismo Confesercenti.

Un vero trauma per il comparto italiano del turismo, che si vede privare dei consumi del mese di aprile, che segna ogni anno la ripresa degli spostamenti in vista della bella stagione. È nel mese di aprile infatti che iniziano a riaprire le imprese stagionali che operano nel balneare, nei laghi ed in generale all’interno di quel segmento che include le varie attività all’aperto.

Vittorio Messina, Presidente nazionale di Assoturismo ha commentato i dati, spiegando che “lo stop improvviso ha messo in ginocchio il comparto, colpendo direttamente tutte le attività della ricettività e dei servizi turistici”.

“Lo scorso anno si dibattevano i presunti pericoli dell’overtourism, quest’anno si vive la catastrofe dello zero tourism” osserva Messina “si fermano gli alberghi, i B&B, i villaggi turistici e i camping; gli stabilimenti balneari valutano di rinunciare ai preparativi d’inizio stagione. Svaniscono i ricavi anche per i servizi del settore, dalle agenzie di viaggi alle guide, dagli NCC ai bus turistici”.

“Per non parlare della crisi dei pubblici esercizi e dei ristoranti, solo parzialmente alleviata, e in una minoranza dei casi, dalla vendita a domicilio, che il più delle volte vuol dire passare per le piattaforme delle grandi multinazionali e subire una ulteriore riduzione dei margini” conclude il presidente nazionale di Assoturismo.

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