Il governo guidato dall’ex presidente della Bce Mario Draghi è pronto a stanziare per il 2022 ulteriori 3,8 miliardi di euro per ridurre l’impatto degli aumenti attesi per il nuovo anno sulle bollette di gas e luce.

L’intervento prevede misure volte a mitigare gli effetti degli aumenti in bolletta per le famiglie da una parte e per le imprese dall’altra, con particolare attenzione per i nuclei con reddito basso e per le imprese cosiddette ‘energivore’.

Le misure che i 3,8 miliardi di euro che il governo Draghi si appresta a stanziare consistono in un nuovo bonus sociale per le famiglie con Isee che non supera la soglia degli 8.365 euro, o i 20.000 euro nel caso di famiglie numerose, e la possibilità di pagare gli importi addebitati in bolletta a rate per le imprese.

Si tratta di interventi che mirano ad annullare gli oneri di sistema riducendo l’Iva per le utenze domestiche ma anche per le attività commerciali. Il premier Mario Draghi ritiene però che sia necessario intervenire con una soluzione strutturale, e che al tempo stesso occorra una riflessione sul meccanismo stesso che sta alla base del prezzo dell’energia.

Per intervenire sugli aumenti in bolletta che colpiranno milioni di contribuenti italiani il governo dovrà guardare i profitti che le società hanno realizzato, in quanto saranno proprio le società ad essere chiamate alla compartecipazione dei maggiori costi comuni.

I maggiori profitti si possono realizzare attraverso la vendita dell’energia prodotta dall’idroelettrico e dalle rinnovabili, in quanto questa ha un costo quasi nullo ma poi viene venduta ai prezzi di quella derivante dagli impianti gas, quindi con margini significativi.

I costi sostenuti per la realizzazione degli impianti, nel caso dell’idroelettrico, sono già stati ammortizzati da tempo, mentre i soggetti che producono energia da fonti rinnovabili si trovano avvantaggiati dalla maggiorazione dei prezzi dell’energia derivanti dal caro-gas.

Intanto il governo si è già messo al lavoro su alcune idee, e ne ha parlato il ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, nel corso di una audizione in Parlamento di un paio di giorni fa.

Il ministro ha spiegato che la prima opzione è la fiscalizzazione parziale, ma c’è in gioco anche “una riflessione sugli incentivi con tariffa fissa (per esempio i conti energia FV)” che si potrebbero ancorare “maggiormente ai prezzi dell’energia con un allungamento del periodo di diritto all’incentivo”. Tutto ciò “magari su base volontaria e venendo incontro alle esigenze di stabilità degli operatori”.

Stando alle ultime dichiarazioni del titolare del Mite, e a quelle del presidente del Consiglio, sembra si possa affermare che il governo italiano sta puntando non solo su misure come il nuovo bonus sociale e il pagamento delle bollette rateizzato per le imprese, ma anche su una riforma strutturale del market design elettrico.

Il governo starebbe infatti lavorando ad un progetto che si prefigge l’obiettivo di superare il system marginal price sulla linea di una proposta supportata da Spagna e Francia, alla quale tuttavia la Germania e i Paesi del Nord Europa si sono mostrati contrari.

Servono però maggiori risorse nel breve periodo per intervenire in tempi stretti sui forti rincari attesi sulle bollette di gas e luce già a partire dal mese di gennaio 2022.

Risorse che potrebbero essere raccolte su base volontaria attraverso la proposta agli operatori di una rimodulazione delle tariffe per gli impianti fotovoltaici che godono di un feed-in premium, cioè un conto energia per impianti entrati in esercizio prima del 2013 con durata dell’incentivo a 20 anni. In questo caso ad esempio si andrebbe ad allungare il periodo di diritto all’incentivo.

Un’alternativa sarebbe l’introduzione di una windfall tax che andrebbe ad incidere sui profitti extra realizzati nel segmento dell’idroelettrico.

Queste misure potrebbero interessare in particolare Enel, Erg, A2A, Iren, Erg, Edison ma anche altri operatori di dimensioni minori e non quotati in Borsa. Nella giornata di ieri Mediobanca Securities ha fatto notare che le aziende con la maggior produzione elettrica sono Enel con 18 TWh, A2A con 4,5 TWh e Iren con 1,2TWh.

Gli esperti di Mediobanca hanno quindi spiegato: “pensiamo che la società più esposta a questa misura sarebbe A2A, da noi coperta con un rating neutral, e in misura minore Iren, coperta con un rating outperform, ed Enel, sempre coperta con un rating outperform”.

Secondo Equita Sim il rischio regolatorio aumenta con la conferma delle intenzioni del governo Draghi, ma anche dalla stessa Ue, di intervenire in modo strutturale sul settore della powergen.

Sim ha spiegato a tal proposito che “i possibili interventi immaginiamo possano essere in primis l’introduzione di un prezzo massimo per power generators idroelettrici/renewables/Wte oltre il quale la maggior compensazione viene girata alla riduzione delle bollette elettriche”, e in questo caso si tratterebbe secondo Sim di una “soluzione gestibile perché le società hanno venduto forward su prezzi ben inferiori agli attuali”.

E non è tutto, perché secondo Equita, introdurre un sistema pay-as-bid nel quale per ogni tecnologia sarà definito un prezzo di mercato, con l’introduzione di cap, significherebbe esporsi ad un rischio derivante dalle modalità con cui lo stesso cap per tecnologia sarà definito.

Nel caso degli impianti idroelettrici abbiamo generalmente un capitale investito basso e quindi stabilire un cap basato sul ritorno sul capitale rappresenterebbe un rischio. Andando poi nel dettaglio di come si presenta la situazione italiana, vediamo che Equita cita tra i principali power generators da idroelettrico/Wte Enel con 18 TWh, A2A con 5 TWh e Iren con 1,5 TWh.

Invece tra le utilities che producono energia elettrica da fonti rinnovabili troviamo, in particolare con maggior esposizione al solare con conto energia e incentivi terminati, Erg con l’8-10% dell’epitda. In questo caso comunque si parla di una società che ha già venduto forward e che quindi di fatto non sta beneficiando dell’andamento dei prezzi.

Anche da Intesa Sanpaolo il commento segue la stessa linea, con gli esperti che affermano che, se confermata, “riterremo la notizia negativa per i produttori di energia elettrica italiani come Enel, Erg, A2A, Iren”.

Al tempo stesso però “sottolineiamo che gli attuali schemi contrattuali, cioè i PPA, e i prezzi di copertura a termine, così come il meccanismo del mercato della capacità, non danno agli operatori grandi extra-margini sulla base degli alti prezzi delle materie prime. Non escluderemmo un intervento del governo in questo senso, anche se preferiamo avere più visibilità sull’argomento prima di scontare qualsiasi impatto sui generatori di energia”.

Per Eni le conseguenze toccherebbero in particolare due aspetti. In primo luogo l’intervento strutturale al vaglio dell’esecutivo comporterebbe conseguenze leggermente negative date dall’indennizzo potenziale per i maggiori profitti legati all’aumento dei prezzi del gas in Italia.

La Sim ricorda infatti che nell’upstream è circa il 55% dei volumi ad essere legato al gas, e nel nostro Paese si trova solo il 5% derivante da campi in costante calo per stop normativi e comunque pressoché totalmente esausti. 

In Italia vengono prodotti complessivamente circa 4 miliardi di mc, e 2,6 miliardi di questi arrivano da Eni. A tal proposito Sim precisa: “stimiamo che l’utile netto sul gas upstream italiano di Eni nel 2021 possa essere di 50-100 milioni di euro su un utile complessivo di 3,9 miliardi. A questo si aggiunga che il reddito generato dalle rinnovabili è ancora molto modesto: pressoché a breakeven nel 2021″.

Nel piano del governo italiano potrebbe essere inserito anche un ritorno alla produzione di gas del nostro Paese, con un ritorno quindi anche all’esplorazione. In questo caso si dovrebbe inserire il gas nella tassonomia green e questo permetterebbe ad Eni di riprendere le attività di esplorazione in Italia e in particolare nell’Adriatico e al largo della Sicilia utilizzando tecniche all’avanguardia. 

La crisi energetica attuale sta evidenziando come probabilmente mai prima d’ora quanto se la componente E del focus ESG è da ritenersi indubbiamente importante, lo è altrettanto la componente S, vale a dire le conseguenze sociali derivanti dall’impennata dei costi dell’energia, ed è qui che il governo è tenuto ad intervenire in modo auspicabilmente efficace.

Da Equita spiegano che “la percezione degli investitori delle oil companies nel contesto ESG potrebbe migliorare in considerazione del ruolo di fornitore di energia a prezzi stabili/contenuti. Per cui ritieniamo che il piano sul Gas possa rappresentare anche un’opportunità per Eni sul lato upstream“.

In ambito energetico il governo di Mario Draghi sta inoltre valutando altre misure, tra cui il possibile allungamento dei tempi per la liberalizzazione del segmento della maggior tutela elettrica.

Un processo che potrebbe essere diluito nel tempo fino ad arrivare al gennaio 2024, ma anche nel caso della liberalizzazione per Enel le conseguenze sarebbero potenzialmente leggermente negative in quanto sarebbe il net loser del processo.

Al contempo ciò produrrebbe effetti leggermente positivi per le municipalizzate come A2A, Iren, Hera, Acea, che avrebbero l’opportunità di allargare la propria base clienti, e potrebbero conquistare nuove quote di mercato nei vari processi di riallocazione della clientela tutelata.

Si trattrebbe di effetti che sarebbero comunque diluiti in un arco temporale relativamente lungo, anche perché il governo non sembra particolarmente incline ad attuare la piena liberalizzazione.

Eppure imboccare questa strada porterebbe degli evidenti e significativi benefici, in questo momento in particolare, per gli utenti finali che si ritroverebbero con sconti rilevanti rispetto al prezzo deciso dall’autorità.

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