Con quasi tre milioni di utenti, pari a circa un terzo della popolazione, gli Emirati Arabi Uniti registrano uno dei tassi di adozione delle criptovalute più alti al mondo. Ma l’obiettivo del Paese non è limitarsi all’utilizzo delle valute digitali: la strategia è molto più ambiziosa e mira a trasformare gli Emirati in un vero hub globale del settore crypto.
Negli ultimi anni, il Paese ha costruito uno dei quadri normativi più avanzati e completi in materia di criptovalute. A questo si è aggiunto il recente lancio di una stablecoin ancorata al dirham, oltre a una decisione che segna un punto di svolta per l’intero settore: l’autorizzazione della prima licenza globale per Binance, il più grande exchange di criptovalute al mondo, all’interno dell’Abu Dhabi Global Market (ADGM), zona economica speciale della capitale.
Secondo Richard Teng, amministratore delegato di Binance ed ex numero uno dell’Autorità di vigilanza finanziaria di ADGM, questa approvazione rappresenta una garanzia importante per gli utenti. La presenza di un’autorità regolatoria solida offre infatti maggiore fiducia e trasparenza, elementi fondamentali per l’espansione del mercato crypto su scala globale. Teng ha sottolineato come l’ambiente emiratino sia estremamente favorevole alle imprese, grazie a regolatori che hanno iniziato a occuparsi di criptovalute già diversi anni fa e a un ecosistema finanziario in rapida crescita.
Un ruolo centrale in questa strategia è giocato anche dai fondi sovrani degli Emirati, che controllano asset stimati intorno ai 2.000 miliardi di dollari. Questi capitali vengono sempre più spesso indirizzati verso modelli di finanza decentralizzata e tecnologie blockchain, con l’obiettivo di diversificare l’economia, ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e diminuire l’esposizione al dollaro statunitense. Allo stesso tempo, le nuove tecnologie promettono di rendere più efficienti i sistemi bancari e i pagamenti transfrontalieri.
Secondo Ronit Ghose, responsabile del settore “future of finance” di Citi Global Insights, negli Emirati si sta sviluppando un ecosistema crypto e blockchain estremamente dinamico, concentrato soprattutto tra Dubai e Abu Dhabi. Questo slancio non riguarda solo gli Emirati: anche altri Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo stanno esplorando il settore, con l’Arabia Saudita particolarmente attiva sul fronte blockchain e il Bahrein tra gli Stati più avanzati nella definizione di regole per le criptovalute.
Non tutti, però, stanno seguendo la stessa strada. Oman, Qatar e Kuwait mantengono un approccio molto più prudente, e in alcuni casi restrittivo, con divieti espliciti su criptovalute e stablecoin. Una cautela alimentata anche dall’estrema volatilità del mercato, che negli ultimi mesi ha mostrato oscillazioni violente, con il Bitcoin passato da massimi storici a forti ribassi in poche settimane.
Le critiche non mancano. Peter Schiff, storico detrattore delle criptovalute e stratega di Euro Pacific Capital, ritiene che il valore del settore sia basato principalmente sulla speculazione e teme che il sostegno governativo finisca per legittimare modelli insostenibili. Secondo Schiff, la blockchain troverebbe un utilizzo più solido nella tokenizzazione dell’oro, una risorsa reale con valore intrinseco, piuttosto che in criptovalute o stablecoin legate a valute tradizionali.
Nonostante i rischi, Ghose sottolinea come la regolamentazione sia un passaggio obbligato per portare le criptovalute verso un’adozione di massa. In questo contesto, l’approccio degli Emirati Arabi Uniti punta a coniugare innovazione, controllo e attrattività internazionale, posizionando il Paese come uno dei principali protagonisti del futuro della finanza digitale.
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