Primo piano del ministro Wang-Yi con accanto la bandiera della Cina
Wang-Yi (immagine generata da IA) - BorsaInside.com

Nel corso degli ultimi giorni, sui social e su alcuni media sono circolate dichiarazioni attribuite al ministro degli Esteri cinese Wang Yi riguardanti il conflitto nella Striscia di Gaza.

Tuttavia, numerosi esperti in affari internazionali e linguaggio diplomatico cinese hanno segnalato che tali affermazioni non trovano riscontro su alcuna fonte ufficiale, come i portali del Ministero degli Esteri cinese.

È quindi importante distinguere tra fonti attendibili e contenuti manipolati, soprattutto quando si trattano argomenti di portata globale.


La vera posizione della Cina: diplomazia, equilibrio e sostegno alla pace

La posizione ufficiale del governo cinese in merito al conflitto israelo-palestinese è stata illustrata da Wang Yi in più occasioni, tra cui il vertice del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 18 febbraio 2025 e il Forum di cooperazione sino-arabo del 30 maggio 2024.

In entrambi i casi, la Cina ha espresso un chiaro appello al rispetto del multilateralismo e alla necessità di riformare la governance globale per affrontare le crisi contemporanee con maggiore efficacia.

Wang Yi ha dichiarato che nonostante l’attenzione internazionale sia spesso concentrata sull’Ucraina, il mondo non può ignorare gli altri conflitti aperti, tra cui quello di Gaza, che rappresenta uno dei nodi più critici e irrisolti della politica internazionale.


Il problema centrale: una Palestina senza Stato

Secondo il ministro cinese, alla base della violenza che insanguina Gaza e l’intera regione vi è la questione palestinese, rimasta irrisolta da oltre 70 anni.

Mentre Israele è da tempo uno Stato riconosciuto e sovrano, il popolo palestinese non dispone ancora di uno Stato indipendente. Milioni di palestinesi vivono da decenni da sfollati o rifugiati, privi di diritti nazionali pienamente riconosciuti.

Wang Yi ha sottolineato che senza una soluzione concreta e definitiva al problema palestinese, non sarà possibile garantire una pace duratura in Medio Oriente. Il ciclo di violenza continuerà, alimentato da una logica di vendetta e rappresaglia. La stabilità dell’intera regione e, indirettamente, la sicurezza globale, rimarranno in pericolo.


La proposta della Cina: attuare realmente la soluzione dei due Stati

Pechino rilancia con forza l’appello alla comunità internazionale affinché venga finalmente attuata la storica risoluzione dell’ONU sulla creazione di due Stati, Palestina e Israele, come previsto già nel 1947. Wang Yi ha chiesto che:

  • Venga creato uno Stato di Palestina indipendente sui confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale.
  • Le fazioni palestinesi superino le divisioni interne e attuino l’unità sulla base della Dichiarazione di Pechino.
  • Tutti gli attori della regione mediorientale sostengano la sovranità palestinese.
  • Le Nazioni Unite accolgano la Palestina come membro a pieno titolo.

Secondo Pechino, Gaza è parte integrante del territorio palestinese, non una zona neutra su cui esercitare influenze esterne o giochi politici. La sua ricostruzione e amministrazione post-conflitto devono seguire il principio di “governo della Palestina da parte dei palestinesi”, e ogni soluzione deve integrarsi nella prospettiva della coesistenza pacifica tra i due popoli.


Un richiamo alla responsabilità internazionale

Nel suo intervento del 30 maggio 2024, durante il Forum sino-arabo, Wang Yi ha ribadito che la Cina continuerà a sostenere:

  • Il cessate il fuoco immediato e incondizionato a Gaza.
  • Il miglioramento delle condizioni umanitarie, definito come una priorità assoluta.
  • Il rispetto delle vite civili, chiedendo che nessun innocente venga più coinvolto nel conflitto.
  • La giustizia internazionale e il diritto del popolo palestinese a vivere in uno Stato autonomo, sovrano e riconosciuto.

La Cina si propone quindi come mediatore imparziale e costruttivo, pronto a collaborare con la comunità internazionale per una soluzione giusta, globale e duratura della questione palestinese. Si tratta di un approccio che rifiuta logiche unilaterali e sostiene la diplomazia come unico mezzo per superare decenni di instabilità e sofferenza.

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