
Il recente attacco militare di Israele contro l’Iran ha riportato il Medio Oriente al centro delle tensioni globali. Al di là del rischio di escalation militare, le ricadute per i Paesi emergenti dell’area potrebbero essere profonde, con effetti destabilizzanti sul piano economico, energetico e geopolitico.
Le interconnessioni regionali, in particolare sul fronte delle forniture energetiche e degli scambi commerciali, pongono numerosi Stati in una posizione di estrema vulnerabilità.
Pressioni su bilance commerciali e flussi valutari
Molti Paesi emergenti del Medio Oriente dipendono fortemente da importazioni energetiche o da infrastrutture strategiche soggette a rischio in caso di conflitto. Le relazioni economiche intrecciate con i grandi produttori e le tensioni sulle rotte marittime chiave come il Canale di Suez amplificano gli effetti potenziali di un conflitto prolungato.
- Dipendenza da importazioni di energia
- Vulnerabilità delle rotte marittime come il Canale di Suez
- Rischio per la stabilità delle bilance commerciali
- Interconnessioni economiche con potenze regionali coinvolte.
L’Egitto è tra i Paesi più esposti: il deficit energetico sta aumentando, mentre le due principali fonti di valuta estera, il turismo e i proventi dal Canale di Suez, rischiano forti contraccolpi in caso di ulteriore instabilità.
Tuttavia, il ruolo strategico dell’Egitto nella regione potrebbe spingere la comunità internazionale ad aumentare il supporto finanziario e diplomatico al Cairo, attenuando in parte gli effetti negativi.
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Paesi del Golfo: stabilità appesa a un filo
Nei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), l’equilibrio è fragile. Molto dipenderà dalle prossime mosse dell’Iran. Un eventuale attacco diretto alle infrastrutture petrolifere o alle raffinerie avrebbe conseguenze immediate e gravi, sia sul piano interno sia sui mercati energetici globali. Tuttavia, un’escalation limitata a obiettivi militari statunitensi ridurrebbe gli effetti diretti sulle economie del Golfo nel breve termine.
Anche l’Iraq potrebbe essere coinvolto indirettamente nel conflitto. Sebbene non sia al centro delle ostilità, la presenza di milizie sciite filoiraniane lo rende un potenziale bersaglio. Nonostante ciò, gli attuali prezzi del petrolio elevati garantiscono una relativa stabilità delle finanze pubbliche, almeno nel breve periodo.
Giordania: vulnerabilità energetica in primo piano
La Giordania, pur non essendo direttamente coinvolta, dipende quasi interamente dalle importazioni di energia. Un aumento dei prezzi del petrolio o interruzioni nella catena di approvvigionamento potrebbero compromettere ulteriormente un’economia già fragile, in particolare sul fronte della stabilità dei conti pubblici e del potere d’acquisto.
Libano: un’occasione tra le macerie?
In Libano, l’attenzione dell’Iran sul fronte interno potrebbe ridurre il sostegno a Hezbollah, lasciando più margine alle forze politiche locali per avviare un processo di ricostruzione istituzionale ed economica. Anche se il futuro resta incerto, una minore interferenza esterna potrebbe rappresentare un’opportunità rara per il Paese di riemergere dal caos.
Turchia: l’inflazione sotto pressione
Infine la Turchia, ponte naturale tra Oriente e Occidente, rischia di essere travolta dagli effetti indiretti del conflitto. Un rialzo prolungato dei prezzi del greggio influirebbe negativamente sulla bilancia dei pagamenti e aumenterebbe ulteriormente l’inflazione, già una delle principali fragilità dell’economia turca. Anche il sentiment degli investitori verso la regione potrebbe peggiorare, rendendo più difficile l’accesso ai mercati internazionali per Ankara.
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