In questi giorni il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha affermato pubblicamente che le vaccinazioni contro il coronavirus che dovrebbero partire a gennaio 2021 (ora si attende solamente il via libera da parte dell’Ema, l’agenzia del farmaco) saranno solamente una “quota simbolica“.

Il piano, infatti, è quello di far partire le somministrazioni in tutti gli Stati membri d’Europa nello stesso giorno, che è già stato ribattezzato “V-day“, per poi proseguire con la campagna di vaccinazione nelle settimane successive.

Ma oltre a sapere quando arriverà il vaccino in Italia, oppure quando verrà somministrata la prima dose, un’altra domanda di particolare importanza riguarda invece gli effetti del vaccino, cioè: dopo quanto tempo si potrà beneficiare, a livello di popolazione, degli effetti di protezione dati dal vaccino?

Ovviamente ogni singola dose rappresenta una piccola chance in più di arginare il virus, ma tra le prime somministrazioni, che riguardano esclusivamente le categorie più a rischio (operatori sanitari e anziani), e il raggiungimento effettivo dell’immunità di gregge (o almeno a una copertura ottimale per poter appunto limitare la circolazione del virus), la differenza è molta. Una differenza, in particolare, che richiede decine e decine di milioni di dosi.

Vaccinazione nel 2021

Attualmente, con i piani strategici nazionali più fluidi che mai, ogni dichiarazione merita di essere presa con il beneficio del dubbio. In ogni caso, almeno ad oggi si ha un quadro indicativo della situazione. Il V-day, infatti, che naturalmente per questioni d’immagine si sta cercando di anticipare il più possibile in Europa, pare essere previsto già per la prima metà di gennaio.

Inoltre, nella migliore delle ipotesi sempre a gennaio, in particolare tra il 10 e il 15, potremmo già ricevere un milione e 874mila dosi del vaccino sviluppato da Pfizer in collaborazione con BioNTech.

Questo primo pacchetto di dosi, però, che sarà sufficiente per la vaccinazione di meno di un milione di persone (per raggiungere il massimo dell’efficacia sono richieste due somministrazioni a distanza di 3-4 settimane l’una dall’altra), sarà destinato agli operatori sanitari e ai frequentatori delle Rsa, ovviamente includendo sia il personale che gli ospiti.

Si stima che Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna saranno le regioni a ricevere poco meno della metà delle dosi, anche se ancora non vi è nulla di ufficiale perché i numeri esatti devono ancora essere definiti.

Quindi, seguendo questa strategia e la logica delle “priorità“, è chiaro che queste prime dosi non serviranno a contenere il virus, ma solo ad eliminare parte dei focolai e a tutelare chi opera in strutture sanitarie.

La seconda data importante invece è attesa per fine marzo, termine entro il quale l’Italia dovrebbe ricevere oltre 10 milioni di dosi, di cui 8,75 milioni da Pfizer-BioNTech (incluse però quelle già ricevute a gennaio) e 1,35 milioni da Moderna.

Questa seconda fornitura consentirà di coprire totalmente la restante parte degli operatori sanitari, del personale e degli ospiti delle Rsa, e buona parte degli over 80, che da soli sono circa 4,4 milioni. Ciò sarà possibile perché si stima che non vi sarà un’adesione del 100%, quindi anche se la fornitura non è consistente, sarà comunque sufficiente a coprire queste categorie.

Quindi, dato che si tratta di massimo il 10% della popolazione, a voler essere ottimisti, gli effetti di protezione a livello di sistema-paese saranno limitati. Ciò significa che la curva dei contagi potrebbe essere solo lievemente influenzata da quest’operazione e che le misure di contenimento potrebbero restare necessarie come nel 2020.

Da aprile in poi, però, lo scenario è ancora tutto da definire. E’ previsto l’arrivo di una fornitura pari a 200 milioni di dosi nel corso dell’anno, in modo da poter garantire la vaccinazione di tutta la popolazione e lasciare un “fondo cassa” corposo.

Le dosi attese sono:

  • 40 milioni da AstraZeneca;
  • 27 milioni da Johnson & Johnson;
  • 40 milioni da Sanofi;
  • 30 milioni da CureVac;
  • 27 milioni da Pfizer-BioNTech;
  • 11 milioni da Moderna.

La priorità comunque viene data ai cittadini con età compresa tra 60 e 79 anni, che rappresentano 13,4 milioni di italiani, e a chi ha patologie pregresse importanti, che invece rappresentano 7,4 milioni di italiani.

Secondo Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, tutto ciò accadrà entro la fine dei mesi caldi, perché entro settembre dovrà essere offerta a tutti gli italiani la possibilità di ricevere il vaccino.

Dosi minime necessarie per la protezione

Attualmente non è semplice fare dei pronostici sulle tempistiche oppure valutazioni quantitative accurate. Tuttavia, almeno per quanto riguarda i tempi necessari, una piccola indicazione può essere data. Infatti se tutto va come da programma si potrebbe arrivare a un buon livello di distribuzione del vaccino già entro la fine della prossima estate.

Tentare però di essere più precisi di così sarebbe del tutto azzardato date le molteplici variabili del caso. Inoltre bisogna considerare che una persona potrà definirsi “vaccinata” solo diversi giorni dopo la somministrazione della seconda dose, che come già specificato deve essere inoculata a 3-4 settimane di distanza dalla prima.

Anche riguardo alla copertura da raggiungere in termini percentuali vi sono parecchi dubbi. Naturalmente il 30% rappresenta una quota troppo bassa e a tal proposito il viceministro della salute Pierpaolo Sileri è intervenuto affermando che se la percentuale dovesse davvero essere così bassa, si dovrà necessariamento ricorrere all’obbligo di vaccinazione. Se invece la copertura dovesse risultare dell’85-90%, ci si potrebbe dire pienamente soddisfatti poiché si raggiungerebbe l’obiettivo di protezione.

In particolare l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha stimato che il virus potrebbe essere arginato raggiungendo una copertura del 65-70% della popolazione. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattia (Ecdc) ha invece dato come numero di riferimento il 67%.

In Germania, invece, Angela Merkel ha dichiarato pubblicamente che il suo traguardo si colloca tra il 60 e il 70%. Quindi punto in più o punto in meno, l’accordo resta comunque ampio. In Italia, insomma, ciò corrisponderebbe a circa 40 milioni di abitanti.

In ogni caso si tratta comunque di percentuali molto alte, perché bisogna tener conto che oltre alle persone che non potranno ricevere il vaccino (a causa di alcune patologie) o che non vorranno farlo per vari motivi, bisogna tener conto anche della questione legata ai bambini e più in generale ai minorenni.

In Italia infatti rappresentano il 16% della popolazione (circa 10 milioni), e finché non verranno autorizzate le somministrazioni anche per questa fascia d’età, il massimo della copertura che si potrà raggiungere è dell’84%. In altre parole, a occhio e croce bisognerebbe raggiungere una copertura dell’80% tra i restanti 50 milioni di cittadini maggiorenni.

Si tratta però di un obiettivo così ambizioso che più che chiedersi quando lo si raggiungerà sarebbe opportuno domandarsi invece se mai lo si raggiungerà. Inoltre va sottolineato che già il raggiungimento di una copertura del 50-60% della popolazione infliggerebbe un bel colpo all’andamento della pandemia.

Tuttavia tra un vaccino efficace e il termine della pandemia però ce ne vuole. Infatti sono ancora troppe le questioni rimaste in sospeso e che occorre risolvere prima di poter cantare vittoria e pensare di allentare le misure e le limitazioni anti contagio.

Uno dei problemi, seppur di “minore” rilevanza, è quello che riguarda la durata della protezione offerta dal vaccino stesso. Infatti se anche si trattasse di una copertura di pochi mesi sarebbe sufficiente per consentire alla popolazione di essere rivaccinata periodicamente (qui si apre un capitolo delicato, perché il rifiuto a ricorrere a questa strategia potrebbe non essere del tutto irrilevante, quindi si potrebbe non raggiungere la copertura ottimale ogni volta).

Quindi a meno che i ritmi della vaccinazione non diventino del tutto insostenibili per il sistema produttivo, cosa che appare abbastanza improbabile, la situazione sarebbe più che gestibile (sempre in linea teorica).

Uno dei quesiti di maggiore importanza invece riguarda da che cosa il vaccino effettivamente protegge. Cioè il siero è capace solo di evitare lo sviluppo di forme gravi o asintomatiche di Covid-19 oppure è anche in grado di prevenire la trasmissione del virus da persona a persona?

Se la seconda ipotesi fosse vera sarebbe tutto decisamente più semplice e si potrebbe raggiungere l’immunità di gregge con molta più facilità, mentre se ciò non fosse vero i non vaccinati continuerebbero ad essere a rischio contagio proprio come adesso.

Inoltre non è acora stato deciso se chi ha già precedentemente contratto la malattia debba o meno essere vaccinato. Poi bisognerebbe indagare anche sull’efficacia effettiva del vaccino stesso, perché questa potrebbe avere un valore totalmente diverso dal 90-95% annunciato se si prendono in esame decine di milioni di persone vaccinate e non solo poche centinaia come nei test.

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