Una Carbon Tax in Usa per ridurre le emissioni di Co2 e combattere il riscaldamento globale

L’idea sarebbe quella di varare un provvedimento che colpisca il portafogli delle società energetiche, tassando quindi le emissioni di CO2 di quelle aziende USA che si occupano appunto del trasporto di petrolio. Un’idea che non nasce oggi, ma che viene proposta già nel 2005, quando fu introdotto il sistema di compravendita dei crediti di CO2, il cosiddetto Emission Trardin Scheme-ETS.

Il timore è che questa nuova imposta per le società USA che si occupano del trasporto del petrolio potrebbe incidere in maniera negativa sul fair value dei titoli petroliferi.

Recentemente il Fondo Monetario Internazionale ha chiesto che si proceda con il perfezionamento di un meccanismo volto a far pagare le emissioni di anidride carbonica a chi ne è responsabile. Ecco il perché della cosiddetta Carbon Tax, un’imposta che soddisferebbe la richiesta fatta dall’FMI in occasione della pubblicazione del Fiscal Monitor 2019.

Nel suo report l’organismo internazionale ha identificato nella Carbon Tax l’unico strumento potenzialmente efficace che permetterebbe di reperire le risorse necessarie per contrastare i cambiamenti climatici. Grazie a questa imposta si potrebbe riuscire a contenere il riscaldamento globale entro i 2 grandi centigradi per i prossimi 10 anni.

La Carbon Tax anche per gli oleodotti

Una questione che riguarda anche il cosiddetto segmento midstream, vale a dire le aziende petrolifere che si occupano del trasporto del petrolio attraverso gli oleodotti.

Secondo Stephen Ellis, energy & utilities strategist di Morningstar Research Services “gli oleodotti sono il mezzo attraverso il quale la materia prima raggiunge i posti in cui viene lavorata e consumata, pertanto possono essere considerati corresponsabili dell’incremento dell’inquinamento da combustibili fossili. Senza contare che molte di queste producono gas inquinanti e sono spesso alle prese con perdite degli impianti”.

Troviamo poi uno studio effettuato da una unità del Dipartimento Usa dei Trasporti, organo che si occupa di sicurezza e livelli di inquinamento della rete di oleodotti degli USA, la Pipeline and Hazardous Materials Safety Administration, che dettaglia il quadro della situazione.

  • Numerosi incidenti: sono stati 5.711 tra il 1999 e il 2018 gli incidenti che hanno riguardato la rete di distribuzione degli oleodotti degli Stati Uniti, per una media di 286 incidenti all’anno
  • Costi elevati per le perdite: le perdite di materia prima dagli impianti hanno avuto un costo complessivo superiore agli 8 miliardi di dollari
  • 10 perdite l’anno. Le società che operano nel cosiddetto segmento midstream della distribuzione del petrolio registrano mediamente 10 perdite all’anno dai loro impianti
  • Costi medi per incidente: gli incidenti che alle aziende costano più di 100 milioni di dollari rappresentano lo 0,1% del totale.

La questione del Fair Value

Morningstar Direct riporta: “una carbon tax ridurrebbe di poco le nostre stime di fair value sulle aziende del segmento midstream che copriamo con la nostra ricerca, perché verrebbe scaricata sui consumatori. La nostra analisi dell’impatto che ci sarebbe se un balzello del genere venisse applicato porterebbe a un esborso totale di 3 miliardi“.

“L’impatto rispetto alle nostre stime sul prezzo obiettivo dei titoli andrebbe dall’1% al 12%. Energy Transfer, per via delle sue dimensioni, sarebbe la società che dovrebbe pagare di più ma il fair value si abbasserebbe solo del 7%”.

L’analisi fatta non deve però portare alla conclusione che la questione possa pertanto essere presa sottogamba ma va tenuto conto ad esempio del “danno reputazionale” il quale, stando a quanto evidenziato dall’analista “potrebbe compromettere i rapporti con le comunità dove passano gli impianti di trasporto” il che a sua volta potrebbe “portare a ritardi nella costruzione di nuovi oleodotti facendo lievitare molto i costi”.

Un caso che dimostrerebbe quanto appena esposto è quello di Equitrans, una società che opera nel segmento midstream che da molti anni tenta di completare un impianto a Mountain Valley in Virginia, ma avrebbe riscontrato “problemi legali con la comunità locale”.

Il costo dell’impianto si aggirerebbe ora intorno ai “5,4 miliardi di dollari contro i 3 miliardi inizialmente stimati e il lavoro sarà completato alla fine del 2020, con due anni di ritardo rispetto al piano iniziale. I costi aggiuntivi non solo influenzeranno i guadagni futuri, ma renderanno più difficili le relazioni con altre comunità locali” conclude l’analista.

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