Quali sono gli effetti della pandemia sul clima del 2021

La pandemia del 2020 ha prodotto due effetti principali sul clima. Da un lato infatti, secondo il Global Carbon Budget 2020, le emissioni di CO2 nell’atmosfera dovrebbero raggiungere la soglia record di diminuzione del 7% grazie ai diversi lockdown indetti in tutto il mondo. Questo però, come fa notare l’Emissions Gas Report 2020, si tradurrà solo in una riduzione di appena 0,01°C della temperatura globale al 2050. Dall’altro lato, poi, vi è la sconfitta elettorale di Trump.

Questi due eventi produrranno altrettanti effetti di rimbalzo nel 2021: uno positivo e uno negativo. Perché se è vero che le emissioni globali torneranno a salire a causa della riapertura di molte attività (nota negativa), bisogna anche considerare che con la vittoria di Joe Biden gli Stati Uniti ritorneranno al tavolo dell’Accordo di Parigi, che era invece stato abbandonato lo scorso 4 novembre.

Questo passaggio è di fondamentale importanza per la lotta ai cambiamenti climatici. Inoltre Biden non avrà bisogno dell’approvazione del Senato per poter rientrare nell’accordo di Parigi dato che l’adesione avvenne tramite un ordine esecutivo dall’ex presidente Barack Obama.

Per poter essere riammessi, infatti, sarà sufficiente inviare una lettera alle Nazioni Unite che indichi la volontà di essere reinseriti all’interno del programma, e ciò sarà ufficialmente effettivo 30 giorni dopo. Così facendo gli Stati Uniti torneranno a ricoprire il ruolo che gli spetta: gli USA sono il secondo Paese al mondo, dopo la Cina, per emissioni, producendo il 14% delle emissioni globali.

Da Washington si aspetta quindi l’annuncio di un nuovo obiettivo di riduzione, che rappresenti un aggiornamento di quello già proposto dall’ex presidente Obama, e di un nuovo piano che illustri come fare per raggiungerlo.

L’amministrazioe Obama infatti aveva promesso una riduzione del 25% dei gas serra prodotti entro il 2025 rispetto ai livelli del 2005, valore peraltro insufficiente secondo i conteggi del Carbon Budget. Infatti dal momento in cui questo piano venne presentato, molte cose sono cambiate a livello internazionale.

A quando la neutralità carbonica?

In seguito alla pubblicazione dell’8 ottobre 2018 del Rapporto speciale Ipcc riguardante il riscaldamento globale di 1,5°C, molte nazioni hanno annunciato di voler raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Lo stesso Consiglio europeo il 12 dicembre 2019 ha concordato l’obiettivo di realizzare un’Unione Europea climaticamente neutra entro il 2050, allineandosi così con gli accordi di Parigi.

Il 10 e 11 dicembre poi, il Consiglio europeo ha approvato l’obiettivo di una diminuzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli pre-industriali, rendendo così più ambizioso il precedente obiettivo che prevedeva invece una riduzione del 40%. Però prima che il regolamento su una legge europea possa essere adottato, il Parlamento e il Consiglio europeo (rappresentato dalla sua presidenza), devono raggiungere un accordo politico sulla proposta.

Altri Paesi hanno poi annunciato di voler diventare “carbon neutral“, e l’esempio più clamoroso è dato dalla Cina, che attualmente è responsabile del 28% delle emissioni globali. Il presidente Xi Jinping infatti ha annunciato all’assemblea Onu del 22 settembre 2020 che Pechino stima di raggiungere il picco delle proprie emissioni entro il 2030 e la neutralità carbonica entro il 2060.

Durante la pandemia le emissioni prodotte dalla Cina sono diminuite del 25% (dato della scorsa primavera), ma già durante le prime settimane di giugno 2020 queste erano tornate a salire man mano che l’industria pesante e le centrali elettriche tornavano in attività.

Ma vi sono anche altri Paesi che hanno un obiettivo di neutralità carbonica adottato per legge. La Svezia, ad esempio, si era già posta questo obiettivo nel 2017 per il 2045. Nel 2019 poi anche Regno Unito e Francia lo hanno annunciato per il 2050, così come la Danimarca, Ungheria, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone.

Anche altri Paesi hanno annunciato di voler raggiungere lo stesso obiettivo o lo hanno inserito in proposta di legge. Poi vi sono invece Paesi come il Suriname, in Sud America, o il Buthan, in Asia, che addirittura riescono ad assorbire più gas serra di quanti ne emettono. E’ stato poi calcolato che i Paesi che si sono posti un target effettivo o solo annunciato di neutralità carbonica corrispondono al 49% del Pil mondiale.

Secondo uno studio condotto da Climate Action Tracker, se gli Usa guidati ora da Biden procedessero con la promessa delle zero emissioni nette entro il 2050, obiettivo già propugnato da World War Zero di John Kerry (ora inviato speciale per il clima), allora si potrebbe ridurre il riscaldamento globale di 0,1°C entro il 2100.

Se a raggiungere le zero emissioni nette fossero sia gli USA che la Cina, si stima che a fine secolo si potrebbe raggiungere una diminuzione di 2,3-2,4°C, e così facendo l’obiettivo di limitazione del riscaldamento entro gli 1,5-2°C previsto dall’accordo di Parigi sarebbe a portata di mano.

Ma se tutti questi obiettivi verranno realizzati o meno ancora non può essere detto. L’unica cosa certa è che non sarà sufficiente annunciare di voler agire in un certo modo e poi continuare con la solita politica. Proprio su questo piano vi è una profonda differenza tra la determinazione dimostrata dall’Ue e quanto hanno fatto e dovranno fare Cina e USA.

Biden infatti dovrà fronteggiare un Senato a prevalenza democratica e inoltre dovrà ricostruire tutto ciò che Trump ha smantellato, ed è ormai noto che è molto più semplice distruggere che costruire. Inoltre, se il vaccino contro il Covid-19 dovesse rivelarsi davvero efficace e concedesse alla popolazione mondiale una tregua, sarà interessate vedere in che modo i Paesi si presenteranno alla COP26 di Glasgow del 1 novembre 2021.

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