Covid, ReiThera e Takis si inseriscono nella filiera dei vaccini a mRNA ma con alcune condizioni

Le due aziende laziali ReiThera e Takis hanno delineato gli scenari possibili per il loro inserimento nella filiera dei vaccini anti Covid-19 basati sulla tecnologia a mRNA. Infatti dopo che la presidente della Commissione europea si è espressa a favore di questi vaccini, ci si aspetta un aumento della loro domanda e delle proposte di collaborazione inter-aziendale per aumentarne la produzione.

A metà aprile, infatti, l’esecutivo di Bruxelles ha annunciato di aver siglato un nuovo contratto con l’americana Pfizer, licenziataria del vaccino a mRNA della tedesca BioNTech. Così nel secondo trimestre 2021 gli Stati Uniti avranno accesso a 50 milioni di dosi aggiuntivi. Un ulteriore accordo potrà poi garantire una fornitura di 1,8 miliardi di dosi aggiuntive per il biennio 2022-2023.

Attualmente le tedesche BioNTech e Curevac controllano oltre il 40% degli impianti che producono vaccini anti Covid in Europa. Finanziate con un totale di circa 700 milioni di euro dalla Germania, entrambe possiedono una capacità complessiva che supera quella di tutte le altre tipologie di vaccino prodotte attualmente in Europa da altre case farmaceutiche. Inoltre, potendo contare sull’asse Bruxelles-Berlino, è molto probabile che saranno proprio loro ad imporsi nel lungo termine.

Le due società laziali, ReiThera e Takis, hanno rivelato a IlFattoQuotidiano.it quali sono i loro piani per affiancare alla produzione del proprio vaccino, anche quella dei vaccini sviluppati da altre case farmaceutiche. Una condizione posta da entrambe è che il governo ponga il proprio impegno nel co-finanziare la riconversione degli impianti già esistenti e l’acquisto dei bioreattori necessari.

In realtà tutto ciò dipende dall’esito delle trattative con il Mise (Ministero dello sviluppo economico) e con i detentori dei vari brevetti. Se le trattative andassero in porto, si potrebbe ottenere il trasferimento di tutte quelle tecnologie e competenze di cui il Paese ha bisogno per poter dar vita a un polo produttivo italiano, per il quale, tra l’altro, il ministro Giancarlo Giorgetti aveva annunciato già a marzo lo stanziamento di circa 400-500 milioni di euro).

Secondo quanto affermato dal Financial Times, la statunitense Moderna si sarebbe tirata indietro dall’accordo. ReiThera, invece, continuava a sperare nel suo coinvolgimento nella triangolazione ipotizzata dallo stesso giornale inglese e mai smentita dallo stesso Mise. Curevac ha invece incaricato ReiThera di produrre la sostanza biologica del suo vaccino e questa verrà poi infialata nello stabilimento a Torre Annunziata di Novartis.

L’azienda svizzera, che ha stretto con Curevac un contratto per l’infialamento del prodotto, non nasconde che sarebbe ben propensa a stringere un accordo di questo tipo anche in Italia. Curevac ha in realtà già subappaltato la produzione della sostanza biologica alla Termofisher di Monza e dovrebbe a breve terminare la fase 3 di sperimentazione. In questo modo potrebbe ottenere l’approvazione dall’Agenzia europea dei medicinali già entro maggio.

ReiThera ha invece ottenuto un finanziamento di circa 80 milioni di euro da parte del governo per accelerare la fase 3 di sperimentazione , ma nonostante ciò la distribuzione del suo vaccino non avverrà prima dell’estate, ed ora l’azienda ipotizza due scenari possibili per l’mRNA.

Il primo sarebbe quello di dedicarvi solo una parte limitata dei bioreattori attualmente in uso, che sono rispettivamente da 200, 1000 e 2000 litri. Così facendo, però, i tempi si allungherebbero di circa altri 8-10 mesi. L’azienda punta però a dare priorità al proprio vaccino adenovirale contro il Covid-19 e punta a produrre circa 100 milioni di dosi ogni anno.

La seconda opzione, invece, che consentirebbe di ridurre le tempistiche di circa sei mesi, prevede l’acquisto di due bioreattori da 1000 litri l’uno, i quali verrebbero utilizzati esclusivamente per la produzione dei vaccini a mRNA. Al momento la’azienda aspetta di sentire un parere del governo su quale sarebbe la migliore tra le due opzioni proposte, il quale dovrà rispondere basandosi anche sulla quantità di fondi che potrà erogare.

Takis, invece, che deve ancora terminare la fase 2 di sperimentazione, ha affermato di essere impegnata in alcune trattative con un’azienda di Anagni (specializzata nella produzione di antibiotici e proteine) per affidarle la produzione della sostanza biologica del proprio vaccino.

Luigi Aurisicchio, fondatore dell’azienda, ha affermato: “l’idea è di convertire una parte delle fabbriche del nostro partner, allestendole con bioreattori in grado di fabbricare vaccini a DNA, ed eventualmente anche a RNA, a livello industriale. L’obiettivo è di partire alla fine del 2021 e stimiamo i costi in diversi milioni di euro”.

Allo stesso tepo, Takis sta cercando di raccogliere fondere per creare una propria officina, autonoma, con un duplice scopo, ossia quello di continuare a svolgere tutti i test clinici necessari per il proprio vaccino e, al tempo stesso, di produrre vaccini a mRNA per conto di terzi. I due vaccni, infatti, a DNA o a RNA, possono essere combinati in un’unica catena del valore.

Aurisicchio ha infatti spiegato che “una volta prodotti i batteri che contengono il DNA, si può usare un altro tipo di bioreattore per innescare la reazione enzimatica che dallo stampo del DNA genera l’RNA“. Poi, con RNA o DNA, l’organismo sarà in grado in egual modo di produrre le proteine del virus necessarie per innescare una risposta immunitaria e generare un’immunità con rilascio di anticorpi.

Per farlo è sufficiente inoculare la sequenza genetica della proteina stessa, la quale viene sintetizzata in laboratorio in tempi decisamente più rapidi rispetto a quelli necessari per una produzione in coltura, metodo generalmente utilizzato per la produzione di vecchi vaccini. Questo passaggio spiega anche perché i vaccini prodotti da Pfizer-BioNTech e Moderna sono stati sviluppati in tempi così brevi.

Poi bisogna considerare anche l’assenza di intoppi produttivi, che invece hanno bloccato AstraZeneca e Janssen, il vaccino prodotto da Johnson&Johnson, entrambe produttrici di vaccini adenovirali, e che proprio per questo motivo hanno ritardato nella consegna delle dosi previste dagli accordi stretti con la Commissione europea e i vari Stati membri.

Inoltre i vaccini a DNA, rispetto a quelli a RNA che risultano stabili solo se mantenuti ad una temperatura di diversi gradi sotto lo zero, presentano questo enorme vantaggio di poter essere appunto conservati anche a temperatura ambiente. Tuttavia, un punto a sfavore riguarda il fatto che, avendo questi una significativa massa, possono essere somministrati solo aprendo un temporaneo varco nelle cellule attraverso la tecnica dell’elettroporazione.

Aurisicchio ha poi aggiunto: “è importante che l’Italia investa nella ricerca e in strutture produttive per disporre sul territorio nazionale di quantità sufficienti di vaccini per i richiami che si renderanno necessari in futuro, ma anche per esportare parte delle dosi, soprattutto nei Paesi poveri che restano indietro nella campagna di vaccinazione”.

“Sia i vaccini a DNA che a RNA possono essere modificati in poche settimane per contrastare nuove varianti. Inoltre quelli a DNA possono essere più facilmente distribuiti nelle nazioni svantaggiate del Sud del mondo, dove le elevate temperature e l’assenza di adeguati macchinari di refrigerazione complicano la logistica dell’RNA”.

Ora la società pugliese Lachifarma è in attesa delle prossime mosse del Governo poiché si dice in grado di produrre circa due milioni di dosi al giorno di un qualsiasi tipo di vaccino. Il vice-presidente Luciano Villanova ha puntalizzato: “siamo stati contatti dai titolari dei diversi vaccini, sia a RNA che gli altri, ma la scelta di produrne un tipo rispetto a un altro dipenderà molto dagli accordi che stipulerà il governo per assicurare l’autonomia vaccinale del Paese”.

“Ragionevolmente, come altri produttori in conto terzi, ci orientiamo verso quei vaccini per i quali ci sarà una maggiore richiesta e quindi commesse prevedibili, cospicue e durature“, quindi tutto fa pensare che la scelta sarà in linea con quanto affermato dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e si punterà a quelli a RNA.

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