Clima, le lobby europee si oppongono al Fit for 55 proposto da Bruxelles: “obiettivi impossibili da raggiungere”

Nell’ultima settimana l’Europa è stata costretta a fare i conti con gli inevitabili effetti della crisi climatica, proprio quando la Commissione europea ha presentato il piano “Fit for 55“, che dovrebbe portare ad una riduzione delle emissioni di CO2 del 55% rispetto ai livello del 1990 entro il 2030 e al raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050.

Quindi proprio ora che il nostro continente è costretto a contare centinaia di morti e migliaia di dispersi, le lobby della maggior parte dei Paesi membri, con Germania in prima fila, si stanno organizzando per fare pressione sui vari governi, affiché questi rifiutino il piano proposto da Bruxelles.

In realtà quest’ultimo sarebbe il primo strumento di mitigazione climatica mai riportato nero su bianco, anche se sono in molti a ritenerlo poco ambizioso data l’urgenza della situazione. Sembra un paradosso il fatto che sia proprio la Germania ad opporsi maggiormente a questo progetto, dato che viene spesso considerata il Paese icona della manutenzione del paesaggio e del servizio meteo, e che al tempo stesso non è però riuscita ad evitare la catastrofe.

Il Wwf ha infatti sottolineato: “nemmeno Berlino, che da anni ha avviato politiche per ridare spazio ai fiumi, è al sicuro dalle conseguenze peggiori del cambiamento climatica. […] Non c’è più tempo. L’azione climatica va accelerata a riti esponenziali se vogliamo evitare le conseguenze più pericolose e ingestibili. L’azzeramento delle emissioni (mitigazione), va attuato nel più breve tempo possibile, ben prima del 2050 e, nel contempo, vanno messe in campo davvero le politiche di adattamento“.

Nel nostro Paese, ad esempio, il Piano di adattamento è totalmento fermo, non è mai passato alla fase attuativa. Quindi anche nel nostro caso si continua ad agire come se non stessimo vivendo un periodo estremamente delicato e avessimo tutto il tempo del mondo per “correre ai ripari”.

Le critiche delle lobby europee

Dall’altra parte dell’Atlantico non mancano le critiche. Prima tra tutte quelle mosse dal Wall Street Journal, che vede nel nuovo piano europeo un tentativo per mettere alle strette Washington sul piano degli impegni climatici. Poi si unisce anche il Financial Times, che riporta invece tutte le critiche mosse dalle principali lobby europee al piano di Bruxelles.

Ad esprimere pareri più duri è l’industria automobilistica, che contesta l’introduzione di regole sempre più stringenti per quanto riguarda le emissioni, incluso l’obbligo di azzerarle completamente entro il 2030 per tutti i nuovi modelli.

La lobby tedesca dei produttori di auto ha infatti affermato che il piano è “anti-innovazione” e che quelli riportati sono obiettivi “quasi impossibili da raggiungere”, anche se Volkswagen, che ha recentemente investito 35 miliardi di euro per la realizzazione di auto elettriche, ha accettato di buon grado il piano europeo.

Nella lunga lista delle compagnie che hanno espresso il proprio disappunto compaiono anche nomi di alcune compagnie aeree, come la tedesca Lufthansa, poiché anche per queste sono state introdotte delle nuove restrizioni, come ad esempio l’inclusione nell’Ets, una quota obbligatoria di combustibile verde e una nuova tassa sul kerosene.

Un effetto inevitabile dato da tutte queste misure sarà il graduale aumento dei prezzi dei biglietti, come affermato da A4E (Airlines for Europe), l’associazione delle compagnie aeree europee. Secondo il presidente di Iata (Associazione del trasporto aereo internazionale) il piano rappresenta invece “un autogol”.

E infine vi è anche l’industria, con molti produttori di cemento, fertilizzanti, acciaio e alluminio che si dicono preoccupati dalla graduale eliminazione, fino al 2036, delle quote gratuite assegnate fino ad ora per le emissioni di carbonio. Punto sul quale d’ora in avanti l’Europa non sembra più essere transigente.

Le opinioni degli ambientalisti

L’Europa dovrà quindi fornire risposte e chiarimenti in merito a queste preoccupazioni, ma non può non tenere conto della terribile cronaca che ha colpito Germania, Belgio, Lussemburgo e Olanda. Il Wwf ha affermato: “se continuiamo con questi ritmi, con una concentrazione della CO2 in atmosfera che a giugno ha toccato le 419 parti per milione, cioè ai livelli di 3 milioni di anni fa, saremo destinati ad aumenti delle temperature superiori ai 3°C“.

Proprio per questo motivo le associazioni ambientaliste, che si trovano nel punto diametralmente opposto a quello delle lobby europee, ritengono il piano di Bruxelles poco ambizioso e insufficiente. Durante un’intervesta rilasciata a “Il Fatto Quotidiano“, il direttore di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio, ha sottolineato che la Germania stessa, nel 2019, aveva approvato una legge che prevedeva un taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

“Quest’anno un gruppo di attivisti, tra cui Greenpeace, ha impugnato quel testo, il Klimatpaket, e, con una sentenza epocale, la Corte Federale Costituzionale di Karlsruhe, basandosi su dati scientifici, ha dichiarato che la legge sui cambiamenti climatici tedeschi non tutela il diritto delle nuove generazioni rispetto alle misure che lo Stato deve assumere per preservarle dagli effetti dei cambiamenti climatici”, ha concluso il direttore.

Quindi, mentre da un lato vi è questa sentenza, dall’altra vi è un’incredibile levata di scudi che arriva proprio nei giorni in cui si è verificato il disastro che nessuno avrebbe mai potuto prevedere. “Arriva da parte di chi non ha mai ritenuto di dover far qualcosa e investire in questa trasformazione energetica, soprattutto in settori come quello petrolifero“, aggiunge Onufrio.

“In Italia, ad esempio, abbiamo portato avanti una campagna criticando il piano di Eni e denunciato più volte i ritardi dell’industria dell’auto. Di contro, abbiamo visto come anche negli ultimi mesi la lobby del fossile abbia cercato e stia tuttora cercando di rallentare il percorso verso la transizione“.

Che ne sarà del piano di Bruxelles?

L’esperto di politiche e mercati energetici e fondatore del think tank sul cambiamento climatico, Matteo Leonardi, ha affermato che sarebbe proprio questo il problema. Secondo l’esperto, infatti, il piano della Commissione andrebbe valutato su più livelli.

Se consideriamo esclusivamente l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5°C, allora il nuovo piano è del tutto insufficiente, è un dato di fatto. “Ma va considerato che l’Ue, in piena pandemia, ha messo sul piatto prima della COP26 un piano di decarbonizzazione al 2050 con il quale non si fa soffiare la guida delle politiche globali sul clima, neppure dagli Stai Uniti di Biden”, afferma Leonardi.

Anche secondo l’esperto il piano poteva essere di gran lunga più ambizioso, ad esempio per quanto riguarda il settore delle rinnovabili oppure nel definire il gas come parte del problema, ma su altri punti, invece, come l’automotive, il percorso indicato è ben definito.

“Poco mi preoccupa se parliamo di 2030 o 2035 per la fine del motore termico, perché credo che anche nel secondo caso, se un cittadino europeo dovrà cambiare la propria vettura a questo punto sceglierà l’opzione che potrà guidare a lungo, senza doverla poi cambiare nel giro di pochi anni. E allo stesso tempo, anche l’industria dovrà invertire rotta e flusso di investimenti, praticamente subito”. Ammesso sempre che il piano resti questo.

Il fatto di mantenere il progetto così com’è, infatti, non è per nulla scontato e ancora meno semplice da ottenere. Si tratta infatti di due anni importantissimi sul piano climatico e gli ostacoli politici no sono pochi. Le pressioni esercitate e le critiche mosse in questi giorni potrebbero essere solo un assaggio di tutto quello che ci troveremo ad affrontare nel giro del prossimo biennio.

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