Pechino punta alle risorse minerarie afgane: preoccupazione per l’ecosistema e la cultura del Corridoio di Wakhan

Pechino ha rivolto la sua attenzione verso i 76 km di frontiera che separano la Cina dall’Afghanistan. Il breve tratto condiviso dai due Paesi si trova all’estremità orientale del Corridoio di Wakhan, un’inaccessibile striscia di terra situata nel nord-est dell’Afghanistan.

Il Corridoio di Wakhan ha da sempre stimolato le fantasie di geografi e strateghi e le mire di diversi imperi, ma nonostante tutto resta un territorio del tutto isolato, anche per gli standard afgani. Basti pensare che nemmeno i lunghi conflitti afgani degli ultimi decenni hanno coinvolto la striscia, che risulta essere lunga circa 300 km e larga 60 km, e si snoda lungo la catena montuosa del Pamir.

Questa “impermeabilità” è durata fino a pochi giorni fa, quando la controffensiva dei Talebani, arrivati fino a Kabul, ha portato anche alla conquista del Corridoio di Wakhan, di grande importanza logistica. Naturalmente i Talebani sono ben consci di questo aspetto, così come lo era l’ormai dissolto governo di Kabul che all’inizio della primavera aveva proposto un progetto, poi pienamente appoggiato dalla Cina, con un enorme potenziale economico, ma anche con degli elevati rischi di distruzione ambientale e culturale.

Lo scorso aprile, infatti, è iniziata la costruzione di una strada lunga alcune decine di chilometri ma dall’elevato significato geopolitico. Il progetto, il cui destino ora sembra essere del tutto incerto, aveva lo scopo di collegare l’Afghanistan con la regione cinese dello Xinjiang, consentendo così dei nuovi scambi commerciali tra i due Paesi.

I 5 milioni di dollari stanziati dall’ex governo afgano per la realizzazione del progetto, che data l’altitudine è stato definito “la strada sul tetto del mondo”, sono briciole rispetto alle decine di miliardi di dollari stanziati invece dal governo cinese per il proprio progetto infrastruturale “Belt and Road Initiative“. Per Pechino, infatti, si tratta di un investimento necessario e dal significato importantissimo.

La Repubblica Popolare ha infatti concentrato la propria attenzione sulle ingenti risorse minerarie afgane e la costruzione di una strada come quella appena descritta consentirebbe il passaggio di merci sia in entrata che in uscita dalla regione cinese.

Per il momento, però, la Cina ha solamente grattato la superficie del “forziere” afgano. Infatti nonostante l’Afghanistan sia un territorio molto importante nell’iniziativa delle Nuove Vie della Seta che Pechino sta portando avanti da quasi un decennio, gli investimenti per il momento sono stati abbastanza contenuti, nonostante i potenziali margini di crescita.

Basti pensare che dal 2017 ad oggi l’ex Celeste Impero ha investito solamente 4 miliardi di dollari in Afghanistan e per lo più nelle miniere di rame dell’Anyak. Secondo alcune stime, però, le riserve minerarie del territorio varrebbero circa mille miliardi di dollari.

Altri 6 miliardi sono invece stati destinati al Pakistan, alleato di ferro della regione, per consentire lo sviluppo dell’area portuale di Gwadar. A causare questa estrema “prudenza” è stato sicuramente il fattore sicurezza. La Repubblica Popolare, infatti, ha sempre temuto che un’eventuale ritirata degli Usa avrebbe potuto far precipitare la situazione nel Paese, quindi ha sempre guardato al Corridoio di Wakhan e al territorio afgano in generale come ad un possibile passaggio per le infiltrazioni terroristiche verso la sua regione a maggioranza musulmana, lo Xinjiang appunto.

Ecco perché per il momento Pechino sembra essere rimasto a guardare. E lo stesso fanno, loro malgrado, i circa 12mila abitanti del gruppo etnico Wakhi e i circa mille di origine kirghisa del corridoio. Questi ultimi, in particolare, occupano la zona più prientale e remota del Corridoio di Wakhan, quindi sono quelli maggiormente coinvolti nella costruzione del nuovo collegamento stradale.

Naturalmente il progresso economico e una maggiore possibilità di spostarsi e di ricevere merci e medicine fanno gola. Nel Corridoio di Wakhan, infatti, d’inverno la temperatura può scendere anche fino a -40°C e la distanza dalla capitale della regione (Faizabad) e da cure mediche adeguate non fa che contribuire all’aumento del tasso di mortalità infantile.

Questa situazione, già delicata, è stata aggravata dalla pandemia, che ha colpito il territorio nonostante questo risulti abbastanza isolato. Ma nonostante tutti questi fattori, la vera preoccupazione è quella di vedere un ecosistema e una cultura unici al mondo messi a rischio da un’incontrollata aperture a influenza esterne.

Con la loro furia intransigente, infatti, i Talebani potrebbero voler spazzare via una piccola regione che già ora viene considerata “aliena”. Questo perché in alcune aree del Corridoio di Wakhan, soprattutto in quelle abitate dalla popolazione di origine kirghisa, viene praticato ancora oggi uno stile di vita nomade e quasi tutti gli abitanti della fascia, oltre a parlare una lingua specifica, appartenente al ceppo iraniano, professa una particolare versione di Islam sciita (ismailita), mentre la religione adottata dalla maggior parte degli afgani è l’Islam sunnita.

Queste restano comunque delle sottigliezze per la Cina, che vede ogni forma di appartenenza religiosa come fumo negli occhi. Ciò però non impedisce a Pechino di avvicinarsi ai Talebani. Subito dopo la conquista di Kabul, infatti, il governo cinese ha annunciato la propria volontà di instaurare delle relazioni amichevoli con la nuova leadership afgana.

La Repubblica Popolare ha poi proposto un pacchetto di investimenti a patto però che il movimento estremista tagli tutti i ponti con gli Uiguri dello Xinjiang e che limiti le proprie mire all’Afghanistan, senza quindi coinvolgere le altre Repubbliche dell’Asia Centrale.

Consapevoli del peso economico cinese, i Talebani potrebbero quindi puntare sul progetto della “strada sul tetto del mondo”, in modo da non scontentare la Cina e garantirsi così delle ingenti entrate economiche. La brutalità estremista e le mire commerciali senza scrupoli stanno quindi bussando alla porta del Corridoio di Wakhan, per cui ora si teme una scomparsa del proprio ecosistema e della propria cultura.

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