Il business delle spiagge, guadagni facili per gli imprenditori ma allo Stato pochi spiccioli

E’ la Sicilia la regione italiana con il più alto potenziale per quel che riguarda lo sfruttamento delle spiagge. Solo il 22% delle spiegge sabbiose siciliane è occupato da stabilimenti balneari, campeggi o complessi turistici e strutture ricettive, inoltre, fattore molto importante, non esistono limiti imposti al numero di concessioni. In pratica la El Dorado degli imprenditori che intendono operare nel settore.

Le richieste di nuove assegnazioni e di adeguamenti sono in tutto 600, e con questa cifra si concretizzerebbe di fatto il raddoppio delle attività esistenti sul territorio costiero della Sicilia. Un territorio poco sfruttato ma con un potenziale enorme, basti pensare che l’isola vanta 425 chilometri di spiagge, e si piazza in questo modo al terzo posto, subito dopo la Calabria che ne ha 614 km e la Sardegna, che ne ha 595.

A cosa è dovuto questo improvviso boom? A quanto pare dipende dalle nuove linee guida per il rilascio delle concessioni, definite nella legge regionale del 22 febbraio 2019, che è attualmente al vaglio della Corte Costituzionale. Grazie a queste norme i vincoli imposti a chi ottiene in concessione parti del demanio dello stato, vengono notevolmente allentati. La distanza tra le concessioni si riduce da 100 metri a 25 metri soltanto, inoltre lo spazio che viene concesso agli stabilimenti cresce a dismisura, passando da 3.000 a 5.000 metri. 

Il problema denunciato dagli ambientalisti

Le spiagge italiane si trasformano così in piattaforme di lancio per l’intrattenimento dei turisti, dal ristorante vista mare si arriva al ristorante letteralmente sul mare, fino a vere e proprie discoteche sul bagnasciuga, con strutture che danneggiano il territorio in modo spesso irreversibile. Ad oggi le concessioni demaniali marittime sono 52.619, delle quali 11.104 sono per stabilimenti balneari e 1.231 per campeggi e resort. Questo secondo gruppo occupa il 42% delle spiegge.

Nel suo rapporto Spiagge 2019, pubblicato in anteprima da La Stampa, Legambiente denuncia l’insostenibilità della situazione. “I dati sono molto diversi tra nord e sud, ma la tendenza è univoca: aumentano ovunque le spiagge in concessione, e laddove non avviene è perché non ci sono più spiagge libere, come in Versilia e Romagna, e in alcuni tratti della Liguria. Siamo di fatto l’unico Paese europeo che non pone un limite alle spiagge in concessione, lasciando alle Regioni queste scelte”.

Impossibile non citare ad esempi Forte dei Marmi, Rimini, Alassio, San Benedetto del Tronto, dove la situazione è totalmente sfuggita di mano. “Un cittadino dopo aver fatto il bagno può solo andare a sdraiarsi sul marciapiede a prendere il sole o andare in un tratto di costa vietato alla balneazione” denuncia Legambiente nel suo report.

Il ricco business delle spiagge, ma allo Stato solo spiccioli

L’attività di sfruttamento delle spiagge è molto redditizia, prima di tutto per via di canoni di concessione estremamente bassi. Fu Flavio Briatore, patron del Billionaire in Sardegna e del Twiga a Marina di Pietrasanta (Lucca) a definire le tariffe inadeguate. Andrebbero “almeno triplicate” secondo Briatore, ma non è detto che questo risolva il problema, anche se quantomeno garantirebbe maggiori introiti nelle casse dello Stato.

Il Twiga ad esempio, con un fatturato di 4 milioni di euro l’anno, paga per la concessione 17.619 euro. Facendo due rapidi calcoli possiamo dire che incassa 227 volte l’affitto. I prezzi per la clientela, che è inevitabilmente molto selezionata, vanno dai 1.000 euro per 2 letti marocchini, con tavolo, 4 lattini, musica e su richiesta anche TV. Ma ce ne sono anche altre destinate ad accogliere turisti spendaccioni, come l’Hotel Romazino a Porto Cervo, provincia di Sassari, dove per un ombrellone, due lettini e l’uso dei servizi si pagano 400 euro. All’Eco del Mare a Lerici (Sp) si pagano invece 300 euro per una cabina privata deluxe, ombrellone, lettino e qualche extra.

Fortunatamente gli stabilimenti d’élite sono pochissimi e la media presenta costi decisamente più abbordabili. Si calcola che una giornata al mare costi mediamente 26 euro tra ombrellone e lettini. L’opzione dell’abbonamento mensile costa 697 euro nel mese di agosto, mentre l’abbonamento stagionale costa 1.718 euro mentre l’anno scorso costava 1.368. Il che dimostra un netto aumento dei prezzi senza contare che per una famiglia con reddito medio-basso le cifre restano in ogni caso proibitive e la spiaggia libera resta l’unica alternativa, finché ne esistono.

Ma i benefici per lo Stato quali sono? A fronte di lauti guadagni per gli imprenditori che conquistano la propria fetta di spiaggia, allo Stato restano in tasca pochi spiccioli. Nel 2016 nelle casse dello Stato sono entrati, per le attività presenti sul demanio marittimo, circa 103 milioni di euro in tutto, mentre il giro di affari viene stimato da Nomisma in 15 miliardi di euro l’anno, che fanno 6.106 euro per chilometro quadrato, ed in media 4mila euro l’anno a stabilimento.

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