Venezia inondata e il Mose arrugginisce: l’opera è costata il triplo dell’autostrada del Sole

Appena un paio di giorni fa Venezia si era ritrovata sommersa dall’acqua alta per quasi un metro e 90, sfiorando il record del 1966, ed è proprio di queste ore la notizia che il sindaco Luigi Brugnaro ha disposto la chiusura di Piazza San Marco e di tutte le scuole di ogni ordine e grado alla luce delle previsioni meteo avverse.

Tutto questo mentre la monumentale opera del Mose marcisce in fondo al mare. Ma cosa è successo di preciso e per quale motivo la barriera della laguna non può ancora proteggere Venezia? L’opera è costata cifre esorbitanti tra perizie e tangenti, si calcola che sono state esborsate somme, denaro pubblico naturalmente, pari a tre volte quelle che sono state spese per costruire l’intera A1.

“Mai nessuno che alzasse la mano per dire no, così non va” fu lo sfogo di Lorenzo Fellin, ingegnere di Padova e docente di impiantistica, che a suo tempo espresse le sue perplessità in merito ad alcune scelte riguardanti proprio la realizzazione del Mose. Nello specifico i suoi pesanti dubbi riguardavano le cerniere che avrebbero dovuto sollevare all’occorrenza l’immane barriera.

In realtà comunque non sarebbe neppure tutta colpa della barriera di paratoie, nonostante lo stesso Raffaele Cantone, da commissario dell’anticorruzione aveva sollevato il problema di un possibile conflitto di interessi in merito alla questione delle cerniere. Ci sono stati ritardi, ci sono stati imbrogli all’italiana e ci sono stati gli arresti, ma c’è dell’altro.

Sos laguna

Nel suo libro Sos laguna, l’ingegnere idraulico Luigi D’Alpos prende in esame altre questioni, come quella che riguarda l’ipotetico ampliamento del Canale dei petroli e di altri canali per favorire il transito delle Grandi Navi.

“Preoccupano al riguardo recenti prese di posizione dell’Autorità portuale, che punta i piedi per intervenire sul canale navigabile dragando e allargando qualche tratto a proprio piacimento, mai ma proprio mai pensando che si debbano in primo luogo attuare con precedenza assoluta gli interventi da tempo richiesti per neutralizzare gli effetti morfodinamici sulla laguna del più devastante misfatto idraulico del Novecento”

Questa l’invettiva dell’ingegnere D’Alpos, che con l’espressione: “più devastante misfatto idraulico del Novecento” definisce il canyon scavato nel fondale della laguna, con conseguenti danni incalcolabili per il delicatissimo ambiente che lo caratterizza, per diventare un canale in grado di far passare le petroliere.

Quanto è costato il Mose

Come detto quindi, non si tratta solo del Mose, che pur essendo il nodo centrale della questione non è l’unico. Molte cose andrebbero fatte e altrettante invece evitate, ma così non è, e le problematiche della città finiscono in un modo o nell’altro per essere trascurate.

Per il Mose sono state spese cifre esorbitanti, ad oggi circa 6 miliardi di euro, come accennato si tratta del triplo di quanto fu speso per la realizzazione dell’intera autostrada del Sole. A fronte di una spesa simile quindi ci si aspetta un’opera all’avanguardia, un gioiello di tecnologia, realizzato coi migliori materiali, sfruttando le più valide risorse umane, grazie alle tecniche più avanzate.

Insomma i cittadini si aspettano che per il Mose, che serve a proteggere la più bella e delicata città del mondo, siano stati usati i migliori ingegneri, i migliori idraulici, i migliori scienziati, insomma il massimo della scelta in fatto di maestranze e materiali, e invece le cose non sono andate affatto in questo modo.

Era il 2015 quando Lorenzo Fellin confidò ad Alberto Vitucci de La Nuova Venezia il suo punto di vista in merito all’opera del Mose. “In tutte le riunioni a cui ho partecipato non ci sono mai stati interventi critici, qualcuno che alzasse la mano per dire: ‘no, così non va’. In fondo era quello il nostro compito, controllare. Molti avevano anche progetti che andavano in discussione. O erano consulenti delle imprese del Mose o di imprese ad esse collegate”.

Nocciolo della questione il problema delle cerniere, che dovrebbero avere la funzione di sollevare e riabbassare la barriera di paratoie. “Le cerniere sono l’oggetto in assoluto più importante del Mose. Se fallisce quello, fallisce il progetto” spiega Fellin nel corso del processo che si tenne in aprile 2017 sulle tangenti per i “cassoni”.

E sulla scelta delle cerniere, elemento fondametale dell’opera come spiegato, ci sarebbe molto da dire. I materiali scelti per esempio. Si era pensato a due possibili soluzioni: una era quella della “fusione di ghisa”, l’altra la “lamiera saldata”. Il Consorzio Venezia Nuova “sosteneva che il ‘saldato’ era un passo avanti rispetto alla ghisa” spiega il docente di impiantistica, già prorettore all’Edilizia presso l’Università di Padova, mentre lui era di tutt’altro avviso.

La telefonata dalla società di progettazione

E le perplessità aumentano dopo la telefonata ricevuta dall’ingegner Scotti della società di progettazione. “Mi avvertì che aveva avuto ordine dal Consorzio di presentare una perizia di variante che prevedeva appunto l’alternativa del ‘saldato'” racconta Fellin “disse anche che si voleva assegnare il lavoro a un’azienda del Consorzio che non aveva la tecnologia per fare la fusione”.

Difficile accettare che, con un simile esborso di denaro pubblico, alla fine i cosiddetti ‘interessi di bottega’ avessero la priorità sulla qualità dell’opera. “Io ero l’unico esperto di impianti, chiamato a far parte del Comitato dalla presidente Piva” racconta ancora Fellin “dopo lunghi studi ero arrivato alla conclusione che non fosse opportuno costruire le cerniere saldando i due pezzi. La letteratura scientifica internazionale lo dice”.

Ma in barba alla letteratura scientifica la scelta era già stata presa. Non solo, era stato già deciso quale azienda si sarebbe occupata del lavoro. E’ lo stesso Fellin a dirci che “avevano già scelto di farle saldate, affidandole alla Fip di Padova, acquistata dalla Mantovani specializzata in quel tipo di lavorazione”.

La reazione del docente d’impiantistica fu quella di uscire dalla riunione del Precomitato sbattendo la porta, che altro fare? E per quel che riguarda le cerniere del Mose il futuro non preannuncia nulla di buono. Gli studi affidati al professor Gian Mario Paolucci, già docente di Metallurgia all’ateneo di Padova prospettavano scenari tutt’altro che incoraggianti.

80 milioni all’anno per non far arrugginire il Mose

Nella relazione riservata del 20 ottobre 2016 si spiegava chiaramente che “la natura metallica non inossidabile del materiale prescelto con cui è stata realizzata la maggior parte dei componenti immersi rende ques’ultimo particolarmente vulnerabile alla corrosione elettrochimica provocata dal’ambiente marino”.

E non è tutto, perché ad accelerare ulteriormente il degrado certo ed evidentemente repentino delle cerniere concorre un altro fattore. “Abbiamo l’assoluta convinzione che la protezione offerta dalla vernice non sia totale né duratura, causa le abrasioni prodotte da sabbia e detriti”.

Ecco qua il quadro, con un degrado della struttura che si presenta imminente. E dire che si pensava sarebbe stato necessario procedere con opere di manutenzione tra 100 anni, una previsione decisamente irrealistica, poi rimpiazzata da tutt’altra prospettiva. In seguito infatti la spesa per la manutenzione è stata aggiornata più volte, fino ad approdare alla previsione di 80 milioni di euro all’anno.

Manutenzione che non può certo essere evitata, se si pensa che “c’è la seria probabilità che la corrosione provochi danni strutturali e dunque il cedimento della paratoia”. In parole povere se si arrugginisce la cerniera il Mose diventa un relitto poggiato sul fondale della laguna, e tuttavia il rischio è concreto.

Ci sono “differenze sostanziali tra l’acciaio utilizzato per i test e quello poi utilizzato nella costruzione delle 158 cerniere” si legge nella relazione “il primo, scrive Paolucci, era acciaio inox superduplex prodotto dalle Acciaierie Valbruna di Vicenza. Il secondo invece, che proviene con ogni probabilità dall’Est, era di lega diversa e di costo ovviamente inferiore”.

Ed ecco quindi il risultato, spiegato sempre nella relazione. “Questa difformità della lega lascia qualche margine di dubbio sulla tenuta strutturale e anticorrosione nel tempo di questo importantissimo elemento strutturale”.

In questo scenario di per sé non bellissimo, si fa strada poi uno spiacevole dubbio. “Viene da domandarsi se nel docunento sulla manutenzione delle cerniere sia stata inseria l’ispezione subacquea periodica degli elementi femmina, anche se dubitiamo che una tale azione possa risultare sufficientemente accurata e minuziosa per finalità preventive” si chiede Fellin.

Domanda legittima naturalmente, e l’ultima relazione risale a tre anni fa. Da allora acque alte violentissime sia nel mese di novembre 2018 che qualche giorno fa, ed ecco che si fa strada il dubbio angosciante: e se il Mose non fosse mai stato provato? Chissà, magari la certezza che funzioni, e che quelle cerniere siano realmente in grado di sollevare le pesantissime paratoie non ce l’hanno.

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