I dati pubblicati da Federacciaio parlano chiaro, e dicono che un’Italia privata della produzione di laminati piani, che sono quel che si produceva fino ad oggi nell’impianto siderurgico dell’ex Ilva di Taranto, è un’Italia inevitabilmente esposta ai flussi di importazioni da Paesi Terzi.
E a quel punto a colmare il vuoto lasciato dall’ex Ilva si troverebbero pronti Russi, Indiani, Serbi e Turchi, che naturalmente detteranno le regole del gioco. Le condizioni che imporrano insomma potrebbero non essere così convenienti, e l’Italia in questo momento deve già fare i conti con gli effetti negativi già riscontrabili oggi sulla produzione siderurgica italiana a seguito della gestione problematica di ArcelorMittal.
Secondo gli ultimi dati di Federacciaio, che sono aggiornati a settembre, la produzione del siderurgico è calata di 2,208 milioni di tonnellate, pari all’1,1%. Se andiamo ad ampliare il periodo vediamo che in nove mesi la produzione è di 17,621 milioni di tonnellate, che corrisponde al 4% in meno rispetto a quanto prodotto nello stesso periodo dell’anno precedente, quando si era raggiunto un totale di 18,328 milioni di tonnellate.
E se lo scenario presente appare brutto, le prospettive dell’immediato futuro lo sono altrettanto. Il presidente di Federacciai, Alessandro Banzato, ha già dichiarato nel corso dell’ultima assemblea dei soci che non sono attesi miglioramenti significativi, e che in poche parole ci si può ritenere soddisfatti se il calo della produzione dovesse confermarsi nella misura ad oggi rilevata.
Volendo scendere in un’analisi più dettagliata notiamo che tra i due principali segmenti produttivi, “piani” e “lunghi” al mese di agosto risultano essere i primi a determinare la maggior parte della flessione. Il dato si riferisce a tutta Italia, ma in questo mercato nel nostro Paese operano solo ArcelorMittal e Arverdi, che stanno entrambe subendo delle difficoltà dovute all’andamento del mercato.
Arverdi ha infatti annunciato un taglio della produzione del 70% per questi ultimi 2 mesi dell’anno, ma nonostante ciò le preoccupazioni sono tutte incentrate sulla questione dell’ex Ilva. Nel solo mese di agosto infatti, anche a causa dell’incidente mortale che ha visto coinvolto un gruista e che ha portato al sequestro del quarto sporgente, la produzione di piani in Italia è crollata complessivamente del 31%.
Il dato relativo alla produzione italiana di coils nei primi otto mesi dell’anno indica poco più di 5 milioni di tonnellate, che è sostanzialmente in linea con il totale a 12 mesi dell’anno precedente, quando la produzione di coils raggiunse 8,436 milioni di tonnellate.
Da qui in poi però le cose si complicano se l’Ilva dovesse chiudere i battenti. A quel punto infatti, senza il contributo dell’ex Ilva nella produzione di coils, Arverdi non potrà soddisfare il fabbisogno italiano e sarà necessario ricorrere alle importazioni.
L’Italia costretta a importare prodotti siderurgici
Nei soli primi sette mesi del’anno i volumi di importazione di coils stanno già eguagliando la produzione italiana o quasi. 5,069 milioni di tonnellate è quanto viene prodotto in Italia, 4,174 milioni di tonnellate è quanto viene importato dall’estero. Di questi 4 milioni e rotti, 2,206 milioni arrivano da Paesi fuori dall’Ue, e nei primi nove mesi sono già diventati 2,7 milioni, vale a dire il 5,6% in più.
Dando invece uno sguardo ai volumi relativi all’importazioni di piani, coils e non, vediamo che nei primi sette mesi del 2018 avevano raggiunto il volume di 7,615 milioni di tonnellate, per crescere poi nel 2019 del 7,1% fino a raggiungere le 8,154 milioni di tonnellate.
Male per l’Italia ma bene per chi dovrà riempire il vuoto lasciato dall’ex Ilva, e cioè Turchi, Indiani, Russi, Coreani, e Serbi. Prendiamo per esempio l’importazione di coils dalla Russia, che nell’ultimo anno sono quasi raddoppiati, passando da 159mila dell’anno scorso a 278mila. I Turchi invece ci hanno venduto quasi un milione di tonnellate di coils, gli Indiani sono passati da 455mila a 522mila tonnellate, un incremento dell’export verso il nostro Paese del 14,8%. E poi c’è la Serbia, che rispetto a un anno fa è cresciuta del 24,8%.
Allo stato attuale l’Italia risulta ancora protetta dalle misure di salvaguardia decise dall’Ue, seppur in maniera che i produttori continuano a ritenere insufficiente. Quello che succederà nel prossimo futuro, una volta che gli altoforni dell’Ilva si saranno definitivamente spenti, è che l’industria italiana sarà maggiormente esposta, come si legge su IlSole24Ore, “al ricatto commerciale dei produttori esteri, con conseguenze nocive sui prezzi, ma anche sulla continuità delle forniture”.
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