Iran: “cancelleremo Israele dalle mappe” in caso di nuovo attacco USA

La prima conseguenza diretta del raid aereo USA che ha causato la morte del generale Qassem Soleimani è la decisione del Parlamento iracheno di cacciare dal Paese la coalizione anti ISIS formata da forze occidentali e guidata dagli Stati Uniti.

Per cominciare quindi, questo è quel che ha prodotto l’assassinio ordinato da Donald Trump del generale degli Ayatollah, Qassem Soleimani. “Il Parlamento ha votato a favore dell’impegno del Governo per revocare la sua richiesta di aiuto contro l’Isis alla coalizione internazionale” è quanto dichiarato dal presidente della Camera Mohammed Halbusi.

Un risultato che non può che soddisfare le aspettative del leader del gruppo shiita libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, che chiedeva da tempo che le forze occidentali lasciassero l’Iraq. Forze che allo stato attuale contano circa 5.200 militari americani, più le forze inviate da altri Paesi.

In seguito al comunicato emanato dal Parlamento iracheno, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg ha convocato per la giornata di oggi a Bruxelles una riunione del Consiglio nord atlantico. Nel frattempo la Nato ha già annunciato la sospensione della missione di addestramento in Iraq e la situazione è ai massimi livelli di tensione.

La replica alle minacce USA è arrivata subito “se gli USA compiranno un nuovo attacco, l’Iran cancellerà Israele dalle carte geografiche” ha dichiarato Mohsen Rezai, ex capo delle Guardie della Rivoluzione. E nella serata di ieri, secondo quanto riferito da fonti che si trovavano sul luogo, contro l’ambasciata americana a Baghdad sono stati lanciati almeno due razzi.

Donald Trump minaccia: “colpiremo 52 siti iraniani”

Dopo l’omicidio ordinato da Trump del generale Qassem Soleimani, è subito arrivato un avvertimento all’Iran “che questo serva da AVVISO che se l’Iran colpisce qualsiasi americano o beni americani, abbiamo preso di mira 52 siti iraniani” ha scritto su Twitter il presidente Donald Trump.

Il numero non è casuale, precisa lui stesso, ma fa riferimento al numero di ostaggi presi da Teheran dall’ambasciata USA durante la rivoluzione del 1979. Episodio che ha poi ispirato il film Argo, nel quale si racconta in che modo la Cia ha tentato di liberare 6 di quegli ostaggi nel corso dell’operazione Canadian Camper.

Tra i 52 siti ci sarebbero anche centri di elevato interesse culturale per il popolo iraniano, ed è per questo che nella sua replica, il ministro degi Esteri Mohammed Javad Zarif ha sottolineato che “colpire siti culturali sarebbe un crimine di guerra”. Intanto il ministro della Difesa Amir Hatami ha esortato “tutti i Paesi del mondo a prendere posizione” contro le “mosse terroristiche” degli Stati Uniti d’America.

Il Regno Unito dalla parte degli USA “Soleimani una minaccia”

Pronto a prendere le difese dell’alleato USA il Regno Unito, che per voce del primo ministro Boris Johnson chiarisce subito la sua posizione in merito agli eventi che hanno causato la morte del generale Soleimani.

Il primo ministro britannico infatti, stando a quanto riportato dalla BBC, avrebbe subito offerto appoggio agli USA dichiarando: “non piangeremo” la morte di Soleimani, descritto poi come “una minaccia per tutti i nostri interessi”.

Anche il ministro degli Esteri Dominic Raab ha espresso parere favorevole alla linea seguita dagli USA, affermando di pensarla “come gli Stati Uniti” e di ritenere che il generale rappresentava “una minaccia per la regione”. “Capiamo la posizione nella quale si sono trovati gli Stati Uniti. Hanno il diritto di difendersi” ha aggiunto il ministro degli Esteri del Regno Unito.

“Il nostro obiettivo è la de-escalation e la stabilizzazione” ha poi spiegato Raab “di questo ho parlato con i nostri amici europei ed americani”. Una guerra in Medio Oriente non farebbe bene a nessuno, questo è chiaro, “nessuno ne beneficerebbe tranne i terroristi, l’Isis in particolare” ha sottolineato il ministro degli Esteri “per questo stiamo lavorando con tutti i nostri partner, americani, europei e della regione, per far arrivare questo messaggio”.

L’Iran pronto a rispondere con “aspre rappresaglie”

Dopo l’uccisione del generale Soleimani, l’Ayatollah Ali Khamenei, leader supremo dell’Iran, ha avverito gli USA che ci sarebbero state “aspre rappresaglie”. La risposta di Trump è arrivata subito, con la minaccia di colpire 52 siti “di altissimo livello e importanti per l’Iran e la cultura iraniana” e ha poi aggiunto “saranno colpiti in maniera molto veloce e dura. Gli Stati Uniti non vogliono più minacce!”.

Nonostante le parole del presidente USA però, l’Iran sembra tutt’altro che intenzionato a rinunciare alle ritorsioni. “La risposta dell’Iran sarà sicuramente militare e contro siti militari” ha dichiarato in una intervista alla CNN Houssein Dehghan, uno dei più stretti consiglieri dell’Ayatollah Ali Khamenei.

Mohsen Rezai: “Theran cancellerà Israele dalle carte geografiche”

Al coro si è unito anche l’ex capo delle Guardie della Rivoluzione Mohsen Rezai, che ha avvertito: “se gli USA compiranno un nuovo attacco, Teheran cancellerà Israele dalle carte geografiche“. Una dichiarazione pesante, specie se si considera che il ruolo attualmente ricoperto da Rezai è quello di segretario del Consiglio per la determinazione delle scelte, che ha il ruolo di mediare tra le diverse istituzioni dello Stato.

E stando a quanto affermato da Rezai, la permanenza delle forze occidentali in Iraq ha le ore contate. “Le truppe USA saranno presto espulse dalla regione” ha aggiunto Rezai secondo quanto riportato dall’agenzia Fars.

Abbas Musavi invita i Paesi Ue a non essere “complici del crimine degli USA”

Via social è arrivato poi il commento del portavoce del ministro degli Esteri dell’Iran, Abbas Musavi, il quale ha risposto al primo ministro britannico, Boris Johnson. “I Paesi europei non siano complici del crimine degli USA” ha scritto Musavi su Twitter “non è degno di noi sperare che coloro che hanno contribuito a questa minaccia americana alla pace e alla sicurezza nazionale ci consolino. Però consigliamo loro di essere abbastanza intelligenti da non essere complici del crimine degli USA”.

Quanto all’intenzione di bombardare siti di grande importanza culturale per l’Iran, il dato di fatto è che “bombardare siti culturali è crimine di guerra” come precisa lo stesso ministro degli Esteri iraniano, Mohamed Javad Zarif.

“Dopo le gravi violazioni della legge internazionale con i vigliacchi omicidi di venerdì scorso, Trump minaccia di commettere nuove violazioni della ‘jus cogens’ ha spiegato il ministro Zarif, che ha poi aggiunto: “non importa se dia calci o urli, la fine della presenza maligna degli USA in Medio Oriente è iniziata”.

Per il generale Abdolrahim Mussavi invece gli USA stanno solo bluffando, e non avranno il “coraggio” di colpire 52 siti in Iran. “Dicono questo genere di cose per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dal loro atto odioso e ingiustificabile”.

Il ministro della Difesa Amir Hatami ha poi lanciato un invito a “tutti i Paesi del mondo” che “hanno la responsabilità di prendere posizione appropriata contro le mosse terroristiche degli USA, se vogliono evitare che si ripetano atti odiosi e senza precedenti come l’uccisione” del generale Soleimani.

Gli accordi Jcpoa diventano carta straccia

I rapporti diplomatici con l’Iran hanno iniziato a peggiorare drasticamente da quando gli USA si sono arbitrariamente ritirati dagli accordi per la non proliferazione nel nucleare firmati anche da altre potenze tra cui proprio l’Iran.

Nella giornata di ieri, il ministro degli Esteri iraniano Mohamed Javad Zarif ha avuto un colloquio con l’Alto rappresentante Ue Josep Borrel. Quest’ultimo si è detto fortemente preoccupato per la piega che hanno preso gli eventi in Iraq e ha sottolineato il bisogno di “ridurre le tensioni nella regione e dell’importanza di preservare l’accordo sul nucleare”.

Il ministro degli Esteri di Teheran è stato quindi invitato a Bruxelles, ma questo non impedirà all’Iran di decidere nelle prossime ore di abbandonare gli accordi Jcpoa, proprio come hanno fatto gli USA nel maggio del 2018. A tal proposito Borrel ha invitato il Governo iraniano a “considerare attentamente qualsiasi reazione per evitare un’ulteriore escalation” e ha offerto il suo “pieno impegno per contribuire alla de-escalation”.

E quanto preannunciato sembra proprio concretizzarsi, stando a quanto riportato nelle ultime ore dall’emittente Al Arabiya, che annuncia che l’Iran utilizzerà l’uranio “senza restrizioni, in base alle sue esigenze tecniche”. Dopo l’assassinio del generale Quassem Soleimani sarebbe stata la stessa amministrazione del presidente Hassan Rohani a dichiarare che il Paese non rispetterà più le soglie stabilite dagli accordi sul nucleare del 2015.

L’Iran non rispetterà le soglie relative al processo di arricchimento dell’uranio, nè quelle che riguardano le quantità di stock, nè i limiti imposti alle sue attività di ricerca e sviluppo delle sue attività nucleari. Se dopo il passo indietro degli USA sugli accordi, l’Iran aveva dato il via ad un lento processo di riduzione dei suoi obblighi, ora questi obblighi sono improvvisamente diventati nulli.

I termini degli accordi sul nucleare del 2015

Un accordo che era stato il risultato di un durissimo lavoro diplomatico durato 21 mesi, firmato infine a Vienna il 14 luglio 2015 dai ministri degli Esteri dei 7 Paesi interessati, vale a dire Iran, Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Stati Uniti.

Era un grande passo in avanti, sancito poi dalla rimozione delle sanzioni economiche e finanziarie da parte di Ue, Onu e Usa nei confronti dell’Iran, il 16 gennaio 2016, quando gli ispettori dell’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) avevano preso atto del rispetto degli impegni da parte di Teheran.

I termini dell’accordo, un documento di 100 pagine, prevedevano che l’Iran riducesse le proprie scorte di uranio dai 10 mila chili in suo possesso nel 2015 a 300 chili. In pratica una diminuzione del 98%, accompagnata da una riduzione delle centrifughe di due terzi, che significava passare da 19 mila a 5 mila. Era poi prevista una moratoria di 15 anni sull’arricchimento dell’uranio al di sopra del 3,67%.

In base agli accordi del 2015, mille centrifughe avrebbero dovuto essere riconvertite per la produzione di isotopi per uso medico, usati in particolare in campo oncologico per curare il cancro. Gli accordi prevedevano anche che gli ispettori dell’Aiea potessero accedere ai siti nucleari, compresi quelli militari, ed era stato previsto un organo con la funzione di mediare in caso di dispute.

Ora è tutto da rifare. Siamo davanti ad una escalation di violenza dagli esiti difficilmente prevedibili, con livelli di tensione tra USA e Iran ai massimi storici.

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