Basta dare un’occhiata ai numeri, per accorgersi che qualcosa non torna rispetto alla narrazione dominante, quella dei maggiori media nazionali e internazionali sul tema Coronavirus. Si dà un grande risalto all’aumento del numero dei casi, mentre si dà pochissimo risalto alla riduzione della percentuale di persone che manifestano poi effettivamente la malattia.

È solo uno degli esempi, senza dubbio il più semplice e lampante, di come l’informazione tenda a fornire un quadro distorto dell’andamento del contagio, preferendo quasi sempre dare un’immagine che spaventi il lettore, che faccia scalpore, con titoli sensazionalistici elaborati ad hoc. Nulla di nuovo, si direbbe, i giornalisti lo hanno sempre fatto, ma con il Covid si sta giocando col fuoco ed ecco perché.

La percentuale dei malati sul totale dei positivi al Covid, il dato rimasto nell’ombra

Iniziamo col chiarire un paio di punti che il lettore meno critico potrebbe non aver fissato a dovere. L’inversione di tendenza dei Tap (Totale attualmente positivi) sia in Italia che nella regione Lombardia, è sotto gli occhi di tutti, ma lo è altrettanto il dato che riguarda la percentuale di coloro che per il Covid finiscono effettivamente in ospedale?

A rispondere a questa domanda, mostrandoci in maniera chiara quei numeri su cui i media non amano spostare i riflettori, ci pensa un investment banker, che per via del mestiere che svolge è abbastanza abituato a masticare dati.

Abbiamo quindi un grafico che è stato riportato da MilanoFinanza, grazie al quale abbiamo modo di osservare l’altro lato della medaglia. Nel grafico sono stati riportati i dati indicati nelle tabelle ufficiali comprendenti la somma di ricoverati e sottoposti a terapia intensiva e sono stati rapportati al numero dei contagiati.

Cosa ne viene fuori? Il dato è sicuramente interessante e quanto mai significativo, visto che mostra come al 16 aprile il 37,44% dei positivi al virus era ricoverato, mentre oggi si tratta solo del 2,88%. Quello che stiamo osservando è un dato che dovrebbe molto tranquillizzare il pubblico, ma i media non vi hanno dato alcun risalto, dipingendo così un quadro intenzionalmente più grave di quello che è con tutto ciò che ne consegue.

L’editoriale della professoressa Emily Oster sul Washington Post

A qualcuno il concetto era chiaro da tempo, apparendo evidente che i media italiani stanno dando grande risalto ad alcune notizie, talvolta persino false, pur di alimentare la narrazione dominante in cui ci troviamo tutti in una situazione di grave emergenza sanitaria, in bilico tra una vita fatta di severe misure restrittive e il rischio di una seconda ondata.

Alla maggior parte del pubblico però la cosa non appare altrettanto evidente, ed è qui che questo tipo di informazione rischia di produrre effetti anche gravi sulla collettività.

Ne ha parlato in un suo editoriale sul Washington Post la professoressa Emily Oster, docente di economia presso la Brown University, che in sostanza si domanda: “i media stanno facendo il loro dovere nel riportare i casi di coronavirus?”.

Il modo in cui i media scelgono le notizie, o scelgono i titoli da dare alle notizie, fa la differenza in fatto di lettori, e questo è noto a tutti. La Oster parte quindi dalla nota preferenza dei lettori per le notizie inattese, quelle che fanno più scalpore, e si fa l’esempio del nuotatore ucciso da uno squalo.

Si tratta di una notizia che richiama molta attenzione e che conquista lettori con facilità, eppure sappiamo che fenomeni del genere sono estremamente rari.

Ma se si rapporta questo comportamento alla gestione dell’informazione nell’ambito dell’emergenza coronavirus cosa succede? “Quando si parla di Covid-19, tuttavia, questa preferenza e la tendenza dei media di assecondarla, rappresentano un vero pericolo” spiega la professoressa nel suo editoriale sul Washington post.

Questo modo di agire da parte dei media finisce con il deformare “il nostro modo di pensare alla pandemia e può condurci verso decisioni irrazionali che possono causare danni duraturi”.

La Oster sostiene infatti che i report riguardanti gli aggiornamenti sulla situazione dei contagi da Covid-19 tendono a seguire l’esempio dell’attacco degli squali.

In questi mesi abbiamo avuto modo di conoscere quali sono gli effetti prodotti dalla pandemia di coronavirus, come ospedali sovraffollati, celebrità e leader mondiali che hanno preso il Covid-19, sviluppando la malattia in forme anche gravi rischiando in alcuni casi persino la vita.

Si tratta di quelle sorprese su cui i media si concentrano, eppure secondo la docente della Brown University, la sfida rappresentata dal coronavirus è completamente nuova in tutti i suoi aspetti, e per questo anche eventi come una risposta positiva rispetto alla diffusione del contagio, come una casa di cura che presenta zero contagi, potrebbe essere degna di nota quanto la notizia di una casa di cura con molti contagi.

C’è una pesante imparzialità, da parte dei media rispetto all’emergenza coronavirus, con dati del tutto parziali sul Covid-19 che vengono continuamente riproposti al pubblico, ricalcando più e più volte l’idea di una emergenza di proporzioni bibliche.

Di conseguenza al pubblico manca il contesto essenziale per prendere decisioni ragionate e ben informate, e porta alcuni esempi.

Il primo esempio riguarda le goccioline di saliva che secondo gli esperti sono in grado di viaggiare a lungo nell’aria. Si tratta di una scoperta che i media hanno ampiamente riportato, dando un grande risalto alla cosa. Non è stato dato invece nessun risalto al fatto che non ci sono ancora prove che le suddette goccioline di solito viaggino effettivamente a lungo nell’aria.

Sulla base della prima notizia, cui è stato dato ampio rilievo, sono stati chiusi per lungo tempo strutture all’aperto e sentieri, eppure non ci sono casi documentati di covid-19 causati da escursioni a piedi.

Un altro esempio riguarda le scuole, ed il rischio di contagio in ambiente scolastico appunto. In Italia siamo vicini alla riapertura, mentre negli USA in molti distretti non si è ancora deciso se si riapriranno e come, e nel frattempo i media danno ampio risalto agli esempi di alunni che sono stati contagiati dal virus.

Visto il clima di incertezza che circonda l’intera questione del coronavirus, sul tema delle scuole sarebbe bene dedicare altrettanta attenzione mediatica a quegli istituti in cui non sono stati registrati ancora casi di coronavirus.

A tal proposito la professoressa Osler scrive: “Twitter è pieno di gente che dice: ‘la scuola di mio figlio ha aperto senza casi questa settimana!’ I dati che ho raccolto mostrano che ci sono molti campi e strutture per la cura dei bambini, anche di grandi dimensioni, che operano senza contagi confermati. Solo che non compaiono nei titoli dei giornali”.

Il risultato di questo tipo di informazione lo vediamo coi nostri occhi in una popolazione che per la stragrande maggioranza è ad un passo dall’ipocondria. Le stesse amministrazioni locali più che nazionali, rischiano di prendere decisioni ed emanare provvedimenti che si fondano su questo tipo di narrazione, un tipo di narrazione che si discosta però dalla realtà fatta di numeri e dati ufficiali.

Le possibili conseguenze di una informazione distorta

Se non ci sono informazioni complete sui reali rischi rappresentati dal coronavirus, le reazioni eccessive delle persone possono produrre conseguenze anche gravi. La professoressa Oster ricorda a tal proposito l’evento nucleare di Three Mile Island, che non è stato alla fine collegato in via definitiva ad alcun risultato negativo di lungo termine per la salute delle persone.

Ciononostante questo episodio, pur non avendo prodotto conseguenze negative tangibili per la salute dei cittadini americani, ha terrorizzato gli Usa riguardo l’energia nucleare.

Alle persone in quell’occasione mancavano semplicemente le informazioni di base sul numero di centrali nucleari che funzionavano in sicurezza in un dato giorno per collocare il dato dell’incidente in un contesto più ampio, e prendere atto del fatto che le probabilità di incidente nucleare sono molto inferiori a quella che era la loro percezione.

Il risultato è stato che l’energia nucleare non ha mai raggiunto il suo potenziale negli Usa, ed è così che il Paese è rimasto fortemente ancorato all’utilizzo dei combustibili fossili.

E tornando al contesto del coronavirus, quali potrebbero essere le conseguenze di questo modo di fare informazione? Quel che sappiamo è che tenere i bambini fuori dalla scuola nuove al loro sviluppo, così come sappiamo che il lockdown e la conseguente chiusura delle attività commerciali distrugge i mezzi di sussistenza delle persone.

In cambio, forse, si ottiene una limitazione dei contagi, ma come si fa a valutare in modo razionale i compromessi da fare se le informazioni che vengono fornite illustrano un quadro assolutamente parziale?

Esiste una soluzione per avere il quadro completo?

Conoscere il quadro completo risulta quindi fondamentale per avere un approccio razionale e consapevole. È necessario essere a conoscenza di quali sono i reali rischi per la salute della collettività rappresentati dal coronavirus oggi, così come occorre sapere qual è il prezzo che si paga con l’adozione di determinate misure restrittive, sia in termini economici che in termini di limitazione delle libertà individuali.

Mancano molti dati per avere il quadro completo. Ad esempio quale percentuale di scuole ha finora registrato casi di coronavirus? Cosa differenzia i luoghi con contagi da quelli senza? Ci sono differenze nelle misure di prevenzione adottate? Quali sono le caratteristiche demografiche ed economiche? Si rileva la prevalenza di eventi diffusi nella comunità?

Tutte domande per rispondere alle quali occorrerebbe una raccolta sistematica di dati e di rapporti. Si tratterebbe di raccogliere i dati nello stesso modo in cui si raccolgono per la classica valutazione dei rischi in qualsiasi tipo di contesto, dalla guida di un’automobile al volo in aereo, al nuoto in mare aperto in presenza di squali.

Le scuole in Italia riapriranno il 14 settembre, mentre molte di quelle private saranno al via già il 1° settembre e potrebbero permetterci di avere già qualche dato interessante in anteprima rispetto alla data di apertura nazionale.

“I distretti scolastici avranno i conteggi dei casi di Covid-19 rilevati, da rapportare alla popolazione complessiva iscritta nelle scuole. Questi dati potrebbero essere combinati in database pubblici con cruscotti e mappe di agevole utilizzo” spiega MilanoFinanza.

Alla realtà dei fatti però, come sottolinea la stessa professoressa Oster, anche negli Usa questo tipo di raccolta dati non viene condotta dalle autorità centrali, ed è per sopperire a questa mancanza che stanno nascendo delle iniziative private che hanno lo scopo di raccogliere dati e cercare di metterli tutti insieme in modo da avere i tasselli mancanti del puzzle.

La Oster ha detto a tal proposito: “una volta che avremo un cruscotto preciso per questi dati, i media potrebbero utilizzare queste fonti per guidare la loro copertura del fenomeno. Anche se scegliessero di non farlo perché un titolo tipo ‘ieri era il 45° giorno con un tasso di infezione inferiore allo 0,01 per cento’ non genera molti click, i cittadini avrebbero il potere di analizzare le informazioni rilevanti”.

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