Con la crisi economica Coronavirus cambierà la politica monetaria della Federal Reserve?

Ci sarà un cambio nella politica monetaria della Federal Reserve all’indomani della pandemia di Coronavirus? È questo che sembra stia per accadere in risposta alla crisi economica scaturita dalle misure restrittive adottate durante il periodo di lockdown, stando a quanto spiegano gli esperti.

Il 16 settembre si è conclusa la due giorni del meeting del FMOC (Comitato Federale del Mercato Aperto), quell’organismo che possiamo considerare come una sorta di ‘braccio armato’ della Fed in tema di politica monetaria, ed ecco che inizia a modificarsi lo scenario di quella che gli stessi vertici hanno definito “una nuova era”.

Gli esperti di Swissquote hanno spiegato che “l’attenzione principale rimarrà sulla Fed, ma la banca centrale non dovrebbe modificare la sua politica di sostegno, soprattutto quando gli indicatori macroeconomici indicano una graduale ripresa”.

Gli stessi esperti sottolineano anche che “la Fed ha riferito martedì che la produzione industriale statunitense è aumentata considerevolmente nel mese di agosto, anche se non ha soddisfatto le aspettative degli analisti”.

Alcuni osservatori prevedono immobilismo da parte della Fed, e gli analisti di IG Bank hanno ipotizzato dopo la conclusione del meeting del FMOC “l’ufficializzazione da parte del presidente Jerome Powell della svolta negli obiettivi strategici dell’istituo centrale”.

Cosa farà la Fed?

Quali sono quindi le scelte che ha deciso di operare la Fed dopo il cambio sull’inflazione? Il 27 agosto 2020 nell’annunciare il meeting del 16 settembre, la Fed ha fatto sapere che si sarebbe aperta “una nuova era” nella sua politica monetaria, un cambiamento che sarebbe intervenuto anche grazie al cambio storico nella sua strategia sui livelli di prezzo.

La Fed adotta ora come obiettivo una inflazione media nel tempo del 2%, e separa l’obiettivo della massima occupazione da quello della stabilità dei prezzi. In altre parole i tassi di interesse resteranno fermi almeno fino al 2023, e non verranno rialzati almeno fino a quando non si sarà raggiunta nuovamente la piena occupazione, cosa che difficilmente avverrà nei tempi delle previsioni della banca centrale, vale a dire entro il 2025.

Secondo quanto evidenziato da Riccardo Sorrentino su IlSole24Ore, la Fed però “non ha ancora modificato, in conseguenza di questa riforma, la propria politica monetaria”.

Una modifica che “in circostanze normali non avrebbe determinato grandi rivolgimenti nelle scelte di politica monetaria: prima della grande recessione, per esempio, la BCE ha tenuto l’inflazione media al 2% per anni pur avendo un obiettivo di stabilità dei prezzi ‘classico’. Nell’attuale fase di lenta dinamica dei prezzi è invece atteso un orientamento molto più espansivo rispetto a quello che il vecchio target avrebbe fatto prevedere” aggiunge ancora l’esperto del Sole24Ore.

Potrebbe tornare l’inflazione?

Esiste quindi la possibilità che un cambio degli obiettivi da parte della Fed possa produrre come conseguena un ritorno dell’inflazione anche se “nessuno pensa che sia imminente un ritorno a un’inflazione significativa, e nessuno dubita che i prezzi dei prodotti siano sotto controllo da un po’ di tempo” spiega John Authers di Bloomberg.

Ed è ancora l’esperto di Bloomberg a ricordare che “le aspettative per il futuro, misurate in base ai break-evens del mercato obbligazionario, sono rimbalzate dal loro forte calo all’inizio della crisi di Covid, per cui il mercato non crede più che la pandemia abbia prodotto uno shock deflazionistico enfatico“.

Quello che si va delineando però non è affatto un quadro uniforme. Authers spiega che “si ritiene che la Gran Bretagna abbia un’inflazione radicata molto più alta rispetto al resto del mondo sviluppato. Nel frattempo, la Germania è percepita come ancora in pericolo di deflazione“.

L’inflazione “si basa sull’espansione monetaria” spiega ancora Authers, che aggiunge “sì, anche le banche centrali hanno stampato denaro per farci superare la crisi finanziaria del 2008, ma quell’espansione non è stata così grande come questa, ed è stata accompagnata da un inasprimento fiscale”.

Non solo, perché “l’immediata conseguenza della crisi ha visto anche una notevole volatilità dell’inflazione di base mese dopo mese” conclude l’esperto di Bloomberg “gli ultimi due mesi, con la ripresa dell’economia, hanno visto i maggiori aumenti dal 1991, quando il livello generale dell’inflazione era molto più alto”.

Quale sarà il programma di acquisti della Fed?

Stando a quanto aveva annunciato a fine agosto il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, la Fed seguirà un programma di acquisti di titoli di Stato che permetterà all’inflazione di superare l’obiettivo della banca per arrivare ad una stabilità dei prezzi nel lungo termine.

Secondo Kathy Lien, analista di BK Asset Management, però “questo nuovo approccio giunge dopo quasi un decennio con livelli di inflazione inferiori all’obiettivo del 2%. Il dot plot e le proiezioni economiche della banca potrebbero riflettere questi cambiamenti con un calo delle aspettative per l’aumento dei prezzi ed un rinvio dell’inasprimento“.

Difficile quindi che la Fed sposi un programma di acquisti più coraggioso, nemmeno con il rally azionario e la conseguente correzione. Non basteranno i recenti cali, servirà invece “un altro improvviso e drammatico calo dei mercati prima che la Fed prenda in considerazione un aumento dei suoi acquisti” secondo Ajay Rajadhyaksha, responsabile della ricerca macro di Barclays.

L’esperto di Barclays, che peraltro offre consulenza al Tesoro degli Stati Uniti sulla gestione del debito e sull’economia, sostiene che “la Fed non avrà problemi con il livello delle azioni in questo momento”. “Penso che ci vorrebbe almeno un altro 10% in meno, rapidamente, prima che la Fed inizi a prenderne atto” ipotizza Rajadhyaksha.

Condivide la sua visione anche Gennariy Goldberg, stratega dei tassi USA presso TD Securities, che ritiene che la vendita di azioni non rappresenta fonte di preoccupazioni per la Federal Reserve. Goldberg ha aggiunto poi che “qualche caduta dopo un rally di massa non li aiuterà. Stanno cercando segni di instabilità”.

Le previsioni economiche alla luce delle proiezioni della Fed

Il cambio di scenario emerso dal dot plot e dalle proiezioni economiche della banca, evidenziato dal tono dello stesso presidente della Federal Reserve, potrebbe gettare le basi per il calo delle aspettative per l’aumento dei prezzi ed il rinvio dell’inasprimento monetario.

Ma nonostante ciò “la Fed potrebbe decidere di rivedere al rialzo le previsioni economiche, e questo potrebbe bastare a far salire il dollaro” ipotizza Kathy Lien, analista di BK Asset Management “in quanto gli investitori si aspettano una maggiore cautela nella decisione del tasso”.

La Lien prosegue poi nella sua analisi degli scenari economici futuri spiegando che “dall’ultimo vertice di politica di luglio, la spesa dei consumatori si è indebolita, la fiducia è scesa e la crescita occupazionale è rallentata”.

“Tuttavia, ci sono stati dei miglioramenti nel mercato immobiliare e, secondo i sondaggi dell’ISM, l’attività manifatturiera è salita ad un ritmo più veloce, mentre quella dei servizi si è stabilizzata” fa notare ancora l’analista di BK Asset Management “quando Powell ha annunciato la nuova strategia di inflazione della Fed, il dollaro è schizzato anziché indebolirsi”.

“Le dichiarazioni rilasciate da Powell in quella occasione erano leggermente ottimiste, in quanto il Presidente della Fed ha parlato di un buono stato di salute dell’economia, fatta eccezione per le aree colpite dal virus” continua la Lien “dunque non ci sorprenderebbe se il dollaro dovesse rafforzarsi dopo il FOMC”.

“Il calo delle aspettative verso un aumento dei tassi potrebbe colpire inizialmente il dollaro, che però potrebbe chiudere la giornata in salita. I dati sulle vendite al dettaglio USA saranno rilasciati prima dell’annuncio di politica monetaria e potrebbero influenzare le aspettative sulla decisione del tasso” conclude Kathy Lien.

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