Crisi di governo e crisi economica, le banche e le imprese italiane rischiano il default?

L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Covid-19 è un evento senza precedenti, affrontato da buona parte dei governi nazionali del mondo con misure altrettanto inedite di efficacia estremamente dubbia peraltro. Misure che però sono state in grado di provocare la più grave crisi economica dal dopoguerra nei Paesi che le hanno imposte.

Per quanto riguarda l’Italia i danni sia sotto il profilo economico che sanitario sono particolarmente pesanti, a dimostrare per l’ennesima volta il livello di inadeguatezza del Paese e della classe politica. Abbiamo visto i dati Istat sull’occupazione, e di certo non sono incoraggianti, così come non sono incoraggianti molti altri dati a cominciare da quello del Pil e del debito pubblico.

Legittimo, anzi doveroso, in questa situazione porsi un paio di domande, in entrambi i campi in cui stiamo vivendo un’emergenza, vale a dire quello sanitario e quello economico. In questo caso però ci concentreremo solo sul secondo aspetto, anche perché il primo è stato da noi ampiamente trattato, e molte risposte le troviamo nei dati ISTAT sulla mortalità.

Il default di banche e imprese italiane è possibile?

Sotto l’aspetto economico una delle domande che vale sicuramente la pena porsi è questa: imprese e banche italiane rischiano il default? Ci aiutano a trovare una risposta gli esperti di Strategie Economiche, che ci illustrano in modo piuttosto chiaro qual è la situazione attuale e quali concreti rischi stiamo correndo.

L’analisi sviluppata da Strategie Economiche parte da un dato, quello dei 300 miliardi di euro di crediti che le banche hanno concesso alle imprese. Queste ultime però, come sappiamo, per via delle pesanti restrizioni e delle chiusure imposte dal governo nel dichiarato tentativo di ridurre il rischio di diffusione del contagio, non hanno avuto occasione di far fruttare gli investimenti.

Va da sé che se non viene permesso alle imprese di avviarsi verso la ripresa e il conseguimento degli utili, non sarà nemmeno possibile per loro ripagare i debiti contratti. Quindi cosa succede? Accede che “l’entità di tali crediti a rischio danneggia i bilanci delle banche con un effetto che aumenta nel tempo” spiegano gli esperti di SE.

Questo naturalmente espone le banche ad un rischio, e qui entrano in gioco le norme europee di Basilea III, in base alle quali la presenza di questi crediti “deteriorati” obbliga le banche ad accantonare ogni anno asset di emergenza come riserve monetarie, utili e azioni ordinarie e privilegiate cui attingere in caso di improvvisa perdita di liquidità.

Col passare dei mesi, le banche che si sono esposte con crediti “deteriorati” si trovano nella condizione di accumulare sempre più accantonamenti, e più a lungo la banca deterrà tali crediti rinnovandoli di anno in anno, tanto più dovrà seguire la strada degli accantonamenti che però “sottrarranno il ‘carburante’ necessario per effettuare le proprie attività”.

Secondo le stime degli esperti di Strategie Economiche entro il 2025 “l’accumulo di tali accantonamenti arriverà a 30 miliardi, che si aggiungeranno alle perdite di bilancio vere e proprie previste intorno ai 10 miliardi, formando una voce negativa di bilancio complessiva di circa 40 miliardi“.

Ora per capire meglio di quali cifre stiamo parlando è necessario metterle nella giusta prospettiva. Bisogna considerare che il capitale più pregiato delle banche italiane nel loro complesso sono gli asset meno rischiosi e poco soggetti alla volatilità del mercato, che non dipendono dalla solvibilità di entità esterne, ed ammonta a circa 180 miliardi attualmente.

Ed è proprio questo capitale che garantisce una certa stabilità al sistema bancario, proprio come previsto dalla normativa europea. Vediamo quindi che quei 40 miliardi rappresentano il 22% circa del capitale di ’emergenza’.

I crediti verso le imprese italiane in difficoltà, quelli a rischio, sono stimati in circa 300 miliardi di euro, somma che eccede del 60% il capitale d’emergenza (180 miliardi). Senza contare che ci sono dei crediti attualmente già deteriorati per circa 130 miliardi che portano il rapporto al 70%.

Di fronte a questi numeri non possiamo che prendere atto del fatto che le possibili perdite bancarie nel prossimo futuro sarebbero molto al di sopra delle loro capacità di affrontare una eventuale crisi di liquidità basandosi sugli accantonamenti in asset meno rischiosi.

Quali sono le possibili soluzioni?

L’analisi di Strategie Economiche individua due possibili soluzioni, che riportiamo di seguito:

  • Non si rinnovano più i crediti alle imprese. In questo modo viene interrotto il trend negativo delle banche causato dalle perdite vere e proprie e dagli accantonamenti. Così facendo però si corre il rischio di penalizzare anche le imprese che invece potrebbero riprendersi e tornare a raccogliere utili in un ipotetico scenario post-pandemia
  • Si intavola una trattativa con l’Unione Europea e con la Banca Centrale Europea per andare ad ammorbidire le norme di “Basilea III” riducendo in questo modo l’entità degli accantonamenti obbligatori cui le banche devono attenersi attualmente. In questo caso però fanno notare gli esperti di Strategie Economiche “i clienti delle banche non avrebbero più alcuna garanzia sulla possibile tenuta della propria banca in caso di eventi gravi come il default o le crisi di liquidità.

E qui si prospettano quindi scenari differenti per il prossimo futuro. Prima di proseguire su queste prospettive è bene però fare alcune considerazioni che riguardano le previsioni dei vari settori industriali e bancari.

Si cerca di prevedere a quanto ammonteranno i crediti deteriorati o gli accantonamenti delle banche, ma le proiezioni che vengono fatte non tengono conto del fatto che misure restrittive e lockdown potrebbero diventare misure permanenti o comunque applicate per un periodo di tempo ancora lungo.

Si tende a dare quasi per scontato che entro la fine del 2021 o nella peggiore delle ipotesi per l’inizio del 2022 le imprese avranno modo di tornare alla normale attività e quindi a fatturare, il che permetterebbe alle banche creditrici di recuperare parte delle somme prestate, e in ogni caso questi crediti non verrebbero più catalogati come “a rischio” bensì come asset positivi nel bilancio degli istituti di credito.

Il punto è che non vi è alcuna certezza che il tanto atteso ritorno alla normalità sia imminente, o comunque possa verificarsi nel giro di un anno. Anzi sono piuttosto frequenti le dichiarazioni che arrivano anche da esponenti delle autorità internazionali che si occupano di sanità e di pianificazione economica e politica che ribadiscono come “il mondo post covid non sarà mai più come prima”.

Nessun ritorno alla normalità quindi, nè a breve nè in un futuro relativamente lontano, piuttosto si tratterà di adattarsi alla nuova normalità. Quanto a come si presenterà questo “new normal” difficile definirlo adesso, e probabilmente “nemmeno chi regge le redini di questo cambiamento possa dirlo con precisione”.

L’Italia di Mario Draghi tra rischi per le banche e rischi per le imprese

La previsione degli esperti di Strategie Economiche per quel che riguarda l’Italia e l’approccio al Covid-19 è quella che vede il Paese avviato verso un protrarsi a oltranza delle misure restrittive e del sistema dei lockdown in diverse varianti, per un periodo decisamente più lungo di quello che i media indicano.

Stando a quanto leggiamo nelle anticipazioni del prossimo DPCM poi notiamo che il “fattore tempo” ricopre un ruolo di grande importanza penalizzando in modo irreversibile alcune categorie ed è pertanto un elemento da tenere in grande considerazione specie da chi fa impresa.

Per le imprese non è sicuramente il caso di fare molto affidamento sulle prospettive di una imminente ripresa, generalmente indicata come risultato della campagna vaccinazioni anti Covid in atto.

Al tempo stesso dobbiamo analizzare la situazione per gli effetti che produrrà sul sistema bancario. Qui ci si riferisce ai rischi connessi al protrarsi dei lockdown che per le banche significa esporsi ai crediti deteriorati di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.

L’entrata in gioco di Mario Draghi è indubbiamente doppiamente significativa per la lettura degli sviluppi della crisi italiana. L’ex presidente della BCE una volta ottenuta la fiducia delle camere si troverà con le redini in mano e dovrà decidere in che modo sbloccare la situazione.

Vengono individuate due possibili scelte. Draghi potrebbe decidere di agire nella prospettiva di uno stop al rinnovo dei crediti concessi alle imprese, che dovrebbero quindi ‘cavarsela da sole’, con l’ovvia conseguenza che un’elevata percentuale di esse chiuderebbe per sempre, oppure spingere per un ammorbidimento delle norme di Basilea III.

Mario Draghi è anche un esponente diretto della lobby del G30, oltre ad essere un uomo di Goldman Sachs al quale era stata offerto persino un ruolo di primissimo piano nella nota banca d’affari americana. Inoltre Draghi ha indubbiamente un forte potere negoziale in Europa, e questo gli permetterebbe eventualmente di conseguire i risultati che riterrà opportuno senza particolari difficoltà.

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