Carenza microchip, chiusi alcuni stabilimenti a Taiwan ed ora i consumatori ne pagano il prezzo

E’ ormai da diversi mesi che i produttori di tutto il mondo incontrano non poche difficoltà nel reperire i microchip, ma ora questa carenza comincia a pesare anche sulle tasche dei consumatori finali.

Infatti non si parla più solo di semplici ritardi, ma anche di un aumento dei prezzi di smartphone, computer e altre apparecchiature elettroniche. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, ad oggi numerosi produttori stanno ricorrendo a delle modifiche nel listino prezzi per poter fronteggiare l’aumento dei costi di approvvigionamento di semiconduttori. E purtroppo si tratta di una tendenza che tenderà ad estendersi sempre di più e a durare ancora per molto.

A sostegno di questa tesi, il quotidiano statunitense ha anche fatto riferimento a un particolare pc Asus per gamers, quindi con schede grafiche particolarmente performanti, il cui prezzo è salito di 50 dollari, passando da 900 a 950 dollari. Lo stesso succede per le stampanti HP, il cui costo è aumentato del 20%, o per altri pc, con un aumento dell’8%.

Solo nell’ultimo mese, il prezzo del famoso Chromebook è salito, negli Usa, da 220 a 250 dollari. Secondo alcune indiscrezioni ora anche Dell starebbe modificando il proprio listino prezzi. Anche le nuovissime Playstation 5 Sony vengono immesse nel mercato in numero ridotto, infatti il più delle volte sui siti dei rivenditori online compare lo spiacevole messaggio: “non disponibile”.

Per il momento, però, il settore maggiormente colpito da questa carenza sembra essere quello delle auto. Una vettura di ultima generazione, infatti, monta centinaia di semiconduttori e ormai circa il 35% del costo di costruzione riguarda le sole componenti elettroniche.

Di conseguenza, tutti i grandi produttori, andando da Ford a Stellantis, hanno comunicato che ci saranno dei rallentamenti nella produzione dovuti proprio al “chip shortage”. Seat, marchio del gruppo Volkswagen, è stata invece costretta a chiudere temporaneamente uno dei suoi stabilimenti, situato a Martorell, vicino Barcellona.

Anche alcune linee di Volvo e Audi riescono a stento a tirare avanti in questo periodo, quindi si può dire che, seppur con tempistiche e intensità differente, questo problema sta colpendo un po’ tutte le case automobiliste.

Solo nell’ultimo mese, l’associazione dei produttori europei di componentistica auto ha stimato che il ritardo registrato per la carenza di semiconduttori corrisponde a circa 500mila vetture. Inoltre la stessa associazione ha stimato che questa carenza durerà con molta probabilità fino al 2022. Pochi giorni fa, Harald Kruger, dirigente della Bosch, ha invitato i produttori di automobili a investire per cercare di ridurre la loro vulnerabilità alle continue oscillazioni del mercato.

Il gruppo tedesco ha infatti da poco inaugurato uno stabilimento, finanziato in parte attraverso fondi pubblici, in Germania proprio per la produzione di semiconduttori, ma, come sottolineato dallo stesso dirigente, deve essere fatto ancora molto altro.

I microchip sono presenti praticamente ovunque, dagli elettrodomestici alle telecomunicazioni. La loro carenza, quindi sta inducendo un ripensamento generale dei sistemi “just in time” più esasperati, dove i componenti arrivano solo all’ultimo momento e direttamente sulla catena di montaggio, portando così a una diminuzione dei costi di magazzino ma aumentando la sensibilità a eventuali strozzature nelle forniture.

Inoltre, come se non bastasse, il settore delle auto è costretto a fronteggiare anche l’impennata dei prezzi dell’acciaio e di altri materiali utilizzati per la costruzione delle nuove vetture, quindi si trova schiacciato in questa doppia morsa. Problema, tra l’altro, che riguarda moltissime altre industrie oltre che l’edilizia.

Sembra però esserci un piccolo fattore positivo. In questi ultimi giorni, infatti, sembra essersi affievolita la fiammata delle quotazioni delle commodities che ha invece caratterizzato i primi mesi del 2021. E’ presto però per stabilire soltanto di una piccola tregua oppure di una vera e propria inversione di rotta.

Risulta poi abbastanza curioso quello che sta accadendo negli Stati Uniti, dove i produttori del posto stanno accusando gli stessi problemi e gli stessi ritardi. La carenza di offerta ha quindi fatto aumentare notevolmente i prezzi delle auto usate, con rincari medi del 20% e che per alcuni modelli arrivano addirittura fino al 50% in più rispetto all’anno precedente.

Quando si parla di microchip, in pratica ci si riferisce a Taiwan. Infatti proprio sull’isola situata di fronte alla Cina, oggetto di continue e crescenti bramosie da parte di Pechino, viene prodotta la maggior parte dei semiconduttori utilizzati in tutto il mondo.

Basti pensare, infatti, che la sola Tsme (Taiwan Semiconductor Manifacturing Company) costruisce il 45% dei microchip utilizzati a livello mondiale, i quali spesso vengono progettati altrove, ma qui vengono realizzati materialmente. Per fare un confronto, gli Stati Uniti producono solamente il 12% dell’offerta globale.

Inoltre sull’isola non è presente solamente Tsmc, ma anche:

  • King Yuan Electronics;
  • Accton;
  • MediaTek;
  • Foxsemicon, che è affiliata al gigante Foxconn, anch’esso con sede a Taiwan ma con diversi stabilimenti situati anche in Cina.

La produzione dei materiali in questione aveva già subito dei ritardi a causa della prima ondata di contagi della pandemia, ma ora la situazione sull’isola sembra nuovamente preoccupante, causando quindi nuovi rallentamenti negli stabilimenti di tutto il mondo. L’aumento improvviso dei contagi e delle vittime delle ultime settimane, infatti, ha portato alla chiusura temporanea di alcuni stabilimenti, provocando un’ulteriore carenza dei materiali già difficili da reperire.

A causa di questi ritardi, i produttori hanno cominciato a “mettere in fila” i clienti, dando ovviamente più importanza a quelli che in un certo senso valgono di più, come ad esempio Apple, o alle forniture di natura militare. La tecnologia è dunque al centro della lunga sfida geopolitica che coinvonge Cina e Stati Uniti. Una guerra di logoramento economico che l’attuale presidente americano, Joe Biden, sta portando avanti con maggiore determinazione rispetto a quella dimostrata dal suo predecessore, Donald Trump.

A peggiorare la situazione ci sono anche gli incidenti che in questi mesi hanno penalizzato enormemente la logistica. Poi, sempre a causa dell’aumento dei contagi, bisogna considerare anche il blocco di alcuni hub portuali cinesi.

Infine, un altro elemento di pressione sul mercato è la raccolta continua di schede grafiche e altri componenti che stanno facendo i “minatori” di criptovalute, come ethereum e bitcoin, seguendo i forti rialzi che le valute digitali hanno registrato fino a poche settimane fa. Attualmente, infatti, una scheda grafica Nvidia rtx 3080 può arrivare a costare 2.400 dollari, mentre prima il suo costo si aggirava attorno ai 690 dollari.

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