Covid, ecco i farmaci in uso e quelli in arrivo. Tra questi: vaccini, anticorpi monoclonali e antivirali diretti

La ricerca di farmaci efficaci per combattere il Covid-19 continua su più fronti. Al momento sono più di 800 i prodotti in fase di sviluppo nel mondo, 200 dei quali sono vaccini, circa 250 sono antivirali diretti e quasi 400 farmaci di altro genere.

Alcuni studi si sono conclusi di recente, come quello riguardante il nuovo anticorpo monoclonale Sotrovimab, prodotto dalla Gsk e approvato dall’Aifa il 6 agosto. L’anticorpo in questione fornisce protezione da tutte le varianti e verrà utilizzato per tutti i cittadini dai 12 anni in su che presentano un alto rischio di progressione severa.

Molti altri studi si concluderanno e verranno pubblicati nel 2022, come quello (molto atteso) sul farmaco orale ideato da Pfizer. Inoltre in questo momento ci sono già tantissimi di questi farmaci in commercio che stanno dando risultati decisamente importanti.

Durante un’intervista a Il Fatto Quotidiano, Marco Cosentino, medico, professore ordinario di farmacologia e direttore del Centro di Ricerca di Farmacologia Medica dell’Università dell’Insubria di Varese, ha affermato: “nel trattamento di Covid-19 sono stati utilizzati con scarso successo vari farmaci antivirali diretti, ad esempio lopinavir/ritonavir e remdesivir. Quest’ultimo ha ricevuto anche un’autorizzazione ma la sua efficacia è molto limitata”.

Intanto l’Ue aveva annunciato l’individuazione di 5 trattamenti, e a tal proposito Cosentino ha affermato: “l’Unione europea ha annunciato per l’autunno l’autorizzazione di quattro anticorpi monoclonali e di un antivirale con azione diretta“.

Il medico si è però detto scettico su questi farmaci, il cui eventuale arrivo potrebbe non modificare di molto la situazione. “In questo campo – afferma Cosentino – pare più interessante il farmaco di AstraZeneca (AZD7442), una combinazione di due monoclonali, tixagevimab e cilgavimab, derivati dai linfociti di persone guarite dal Covid e ingegnerizzati in modo da persistere nell’organismo per molti mesi”.

“AstraZeneca ha già dichiarato che intende chiedere l’autorizzazione in emergenza del farmaco, che costituirebbe così una forma di profilassi alternativa ai vaccini“. Durante l’intervista il medico ha poi spiegato cos’è il CD24 e perché risulta avere particolare successo in Israele.

L’EXO-CD24 è infatti un farmaco sperimentale di cui però, dal punto di vista clinico, si sa ben poco. La CD24 è una glicoproteina che viene espressa da moltissime cellule del sistema immunitario e il suo ruolo è quello di andare a ridurre, a sopprimere la risposta infiammatoria. La sua attività viene infatti ridotta negli stati infiammatori gravi, come ad esempio le sepsi.

Per questo motivo alcuni ricercatori hanno pensato di utilizzarla per prevenire o curare le forme più gravi di Covid-19, durante le quali si innesca la cosiddetta “cascata di citochine“, che rappresenta un’iperattivazione del sistema immunitario che risulta essere dannosa per l’organismo.

“Ad oggi sono stati condotti studi iniziali, di Fase I e Fase II, il primo su 30 persone e il secondo su 90, tutte con Covid. I benefici clinici sono tuttavia stati notevolissimi se è vero che stando a quanto riportano le agenzie, prima 29 pazienti su 30 e poi 84 su 90 sarebbero guariti in massimo 5 giorni. Se davvero tutto andasse per il meglio, il farmaco potrebbe essere reso disponibile già nel corso del 2022″.

Antivirale Pfizer

Anche i dati riguardanti il farmaco sviluppato da Pfizer sono attesi per il prossimo anno, infatti l’azienda ha annunciato di aver iniziato la Fase II del suo antivirale lo scorso 13 luglio. Il PF-07321332, più in dettaglio, è un farmaco che in grado di inibire un enzima indispensabile per la replicazione del coronavirus, la proteasi 3C-like, quindi grazie grazie a questo blocco si potrebbe impedire la replicazione di Sars-CoV-2.

L’azienda aveva sviluppato anche un altro farmaco simile, il PF-07304814, che per il momento è stato accantonato poiché si è visto che non viene ben assorbito per via orale. Ad oggi, sul ClinicalTrial.gov, il sito che include la maggior parte degli studi in corso per la registrazione di nuovi farmaci in Europa e negli Usa, risultano 6 studi in corso con PF-07321332 (solo uno di questi su pazienti Covid) in fase 2/3, ma il reclutamento dei 2260 pazienti che doveva iniziare lo scorso 13 luglio non è ancora stato avviato. La conclusione dello studio è invece prevista per il 15 febbraio 2022.

L’azienda ha poi affermato che lo sviluppo di questo farmaco è iniziato perché i ricercatori stessi si aspettano, nei prossimi anni, continui focolai di Covid in diverse zone del mondo. Il loro obiettivo è dunque quello di far fronte ai nuovi contagi fornendo una terapia che non preveda necessariamente l’ospedalizzazione. Anche per questo motivo i ricercatori Pfizer hanno deciso di accantonare un altro farmaco analogo ma somministrabile solamente per via endovenosa.

Il professor Cosentino a tal proposito ha affermato: “si tratta in verità di una visione del tutto condivisibile, tanto da rendere incomprensibile la ragione per cui fino ad ora non siano stati inclusi nelle strategie di lotta al Covid-19 i tanti farmaci già ora disponibili con un eccellente rapporto tra benefici e rischi, i quali rappresentano da tempo opzioni concrete e immediatamente utilizzabili”.

Cellule staminali mesenchimali

Dopo circa un anno di blocchi burocratici, la Food and Drug Administration (FDA) ha finalmente approvato la fase 3 del trial sulle cellule staminali mesenchimali. Fra tutti gli studi condotti fino ad ora, quello sulle staminali è stato quello che ha ottenuto il maggior successo, con quasi il 100% dei pazienti guariti, anche in condizioni molto gravi.

Le cellule staminali sono infatti oggetto di studio da diversi anni proprio per via del loro elevato potere antinfiammatorio e di modulazione della risposta immunitaria. Per il momento, però, i dati disponibili derivano solamente dal trattamento di piccoli gruppi di pazienti.

A Miami è stato condotto uno studio che ha coinvolto 24 pazienti, 12 dei quali sono stati trattati con staminali da cordone ombelicale e 12 con placebo, ed ha fornito dei risultati interessanti: il 91% dei pazienti che avevano ricevuto le staminali è sopravvissuto a 30 giorni, mentre la percentuale scende al 42% nel gruppo placebo.

Quindi i ricercatori confidano nel fatto che studi futuri possano confermare i benefici di alcuni tipi di staminali, poiché ovviamente non sono tutte uguali, fino a poterle rendere, un giorno, un’alternativa valida per la cura al Covid.

Ivermectina

Il professor Zeno Bisoffi, con l’approvazione da parte dell’Aifa, ha condoto uno studio sull’ivermectina, per studiare quale fosse la carica virale dopo l’utilizzo del farmaco. Uno studio randomizzato in doppio cieco condotto in Israele ha forniti dei risultati decisamente positivi, quindi ora è atteso lo studio italiano, i cui risultati dovrebbero essere pubblicati a giorni.

L’ivermectina nasce come farmaco antielmintico, viene utilizzato da più di 50 anni ed è stato incluso nella lista dei farmaci essenziali dell’Oms, che li seleziona in base alla loro sicurezza ed efficacia.

Inoltre, una recente revisione di un articolo pubblicato sull’American Journal of Therapeutics conclude che, basandosi sui numerosi studi svolti e sulle evidenze osservate, l’ivermectina è efficace per la cura del Covid (nel senso di riduzione della durata della malattia, delle ospedalizzazioni, della carica virale e della mortalità) e per la profilassi (ne riduce anche la trasmissione), e tutto questo con la possibilità di insorgenza di effetti avversi molto limitati, prevedibili e facilmente gestibili.

“Mi pare la migliore premessa per un esito favorevole di qualsiasi altro studio ben progettato – afferma il professor Cosentino riferendosi all’atteso studio italiano – e tuttavia non sembra esistere alcun serio motivo per non considerare fin da subito l’ivermectina come una concreta e conveniente opzione, come del resto moltissimi medici fanno da tempo”.

Budesonide

Stando agli ultimi dati pubblicati da Oxford, anche il budesonide sembra aver dato ottimi risultati. Si tratta però di un antiasmatico e l’impiego di cortisonici provoca molto spesso delle controversie tra gli esperti.

Un studio recente pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet “Respiratory Medicine”, ha dimostrato le potenzialità del corticosteroide budesonide, il quale, somministrato per via inalatoria entro sette giorni dall’insorgenza di sintomi, è stato in grado di ridurre l’aggravamento e il ricovero dell’85-90% senza alcun effetto avverso grave.

I glucocorticosteroidi sono infatti dei potentissimi antinfiammatori, ma devono essere usati con cautela. Inoltre farmaci di questo tipo possono essere assunti per via orale, iniettiva o, appunto, per inalazione. Attualmente le linee guida pubblicate dagli enti prevedono che questi farmaci vengano utilizzati solamente quando le funzioni polmonari sono così compromesse da dover richiedere la supplementazione di ossigeno, anche se sono molti gli esperti che ritengono che sia sbagliato attendere per arrivare ad un punto così critico.

Diversi medici con molti anni di esperienza sul campo, infatti, sostengono che i glucocorticosteroidi possono essere dei validissimi alleati se somministrati nel momento in cui compaiono già i primi sintomi, seppur lievi. Si tratterebbe infatti del momento migliore per agire poiché i danni infiammatori possono ancora essere prevenuti.

Farmaci in arrivo in autunno

Al momento sono più di 800 i prodotti in fase di sviluppo nel mondo, 200 dei quali sono vaccini, circa 250 sono antivirali diretti e quasi 400 farmaci di altro genere. Il loro numero è cresciuto velocemente fino all’estate del 2020, infatti a inizio 2021 i prodotti in commercio erano già più di 700.

Questo però indica che le aziende potrebbero aver già dato il loro massimo in questo anno e che quindi ora, con molte probabilità, preferiranno impiegare le loro energie per condurre ulteriori studi per accertarsi della reale efficacia dei loro prodotti.

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