Cos’è la shrinkflation? Ecco come funziona la nuova tecnica di marketing sempre più in uso

Si chiama shrinkflation ed è una nuova tecnica di marketing che si sta consolidando e diffondendo rapidamente ad un numero sempre maggiore di prodotti di largo consumo.

Il nome può sembrare un po’ strano e forse non è facilissimo da memorizzare, ma in realtà non è così complicato come appare. Il termine inglese è il risultato dell’unione di due parole: shrink che vuol dire contrarre e inflation, cioè rincaro.

Il significato dei due termini racchiude anche la strategia alla base di questa tecnica di marketing che si fonda appunto su quello che potremmo definire in un certo senso un ‘astuto trucchetto’ che serve per dare al consumatore finale la sensazione che il prodotto che sta acquistando non abbia subito alcun rincaro quando invece così non è affatto.

Le grandi aziende fanno ampio ricorso a questa tecnica per incrementare i propri margini di profitto, ma come funziona esattamente? Diciamo prima di tutto che non sono poche le controversie che l’utilizzo di questa strategia sta alimentando a livello internazionale.

Cos’è e come funziona la shrinkflation

Come accennato la shrinkflation è una tecnica di marketing i cui principi sono racchiusi nel suo stesso nome. La strategia consiste in un processo di riduzione delle dimensioni (shrink) che interessa beni di largo consumo, mentre i prezzi restano invariati o, in alcuni casi, subiscono un lieve rincaro (inflation).

In realtà il trucco sta nel fatto che anche quando il bene in questione non subisce alcun ritocco del prezzo, dal momento che le quantità dello stesso sono state ridotte, a parità di costo il consumatore si ritrova con una inferiore quantità di prodotto nel carrello, che è esattamente quel che accade con l’inflazione con la differenza che qui è più difficile rendersene conto.

Prendiamo ad esempio un qualsiasi bene di largo consumo, come una scatola di biscotti o fazzoletti usa e getta, paghi un prezzo che resta sostanzialmente invariato ma nelle stessa confezione invece di 200 grammi di biscotti ce ne sono magari 180, e invece di 12 pacchi di fazzoletti ce ne sono magari 10.

Allo stesso modo possono variare le quantità di altri prodotti, anche dei più comuni come lo zucchero, il sale, il gioccolato, il miele e così via. Qualche grammo in meno nella confezione e senza prendersi il disturbo di alzare il prezzo l’azienda ottiene un margine di profitto più alto, e dal momento che il consumatore di solito non ne ha contezza, o comunque non se ne avvede subito, il rischio che decida di optare per un altro prodotto simile in un’ottica di maggior risparmio si riduce al minimo.

È una tecnica cui le grandi aziende ricorrono in particolare oggi vista la crisi dei consumi, e soprattutto all’indomani della pandemia la cui gestione politica in Europa in particolare ha notevolmente aggravato la situazione.

Dalla Coca Cola alla cioccolata alcuni esempi di shrinkflation

Per capire meglio come funziona e qual è l’impatto economico della shrinkflation facciamo degli esempi pratici con prodotti reali. Cominciamo dal Toblerone, la barra di cioccolato della Kraft che negli ultimi anni è passata da 200 grammi a 170, e poi a 150, con una riduzione della quantità di prodotto del -25% rispetto alla confezione originale del 2016. Persino la versione maxi è stata ridimensionata da 400 a 360 grammi.

Poi abbiamo l’esempio della cioccolata Milka, la cui confezione standard è passata da 300 a 270 grammi, o quello della Coca Cola la cui bottiglia da 2 litri ora è da 1,75. E ancora i cereali Kellog’s Coco Pops, il Magnum o il Cornetto Algida, tutti ridimensionati nella quantità.

In alcuni casi le aziende si costruiscono degli alibi anche abbastanza credibili per giustificare le scelte di ridurre la quantità di prodotto. È il caso dei Coco Pops di Kellog che sarebbero stati alleggeriti per via della diminuzione di zucchero nella confezione, oppure i gelati di Algida che avrebbero subito lo stesso destino per la necessità di abbassare l’apporto calorico.

Il peso della shrinkflation si fa sentire

Diciamo che in alcuni casi, come quelli appena menzionati, le motivazioni per cui le quantità di prodotto si sono ridotte possono anche risultare credibili e quindi accettabili, ma non è sempre così, anzi si tratta di rare eccezioni.

È piuttosto evidente infatti che la shrinkflation è una tecnica di marketing di cui le grandi aziende si servono per massimizzare i propri profitti vendendo ai consumatori lo stesso prodotto, in una confezione pressoché identica e allo stesso prezzo ma in quantità leggermente inferiori. Sulle grandi quantità però è chiaro che quei piccoli ritocchi sulle quantità producono degli utili decisamente sostanziosi.

E i consumatori ne sono per lo più all’oscuro nel momento in cui fanno i propri acquisti, sarebbero quindi, secondo alcune istituzioni ed organizzazioni europee, vittime di una sorta di inganno.

Una situazione tutt’altro che di marginale importanza se si dà un’occhiata ai numeri già a partire dal 2017. L’Istituto di statistica britannico ha già puntato i riflettori sui prodotti in shrinkflation ed ha osservato almeno 2.500 confezioni di prodotti ridotte per peso e quantità. L’Istat ha rilevato 7.306 casi simili nel periodo 2012-2017, e in 4.983 di questi vi era stato persino un aumento dei prezzi.

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