Johnson&Johnson, in arrivo la seconda dose? Ecco chi potrà farla

Secondo alcune fonti, la casa farmaceutica Johnson&Johnson starebbe pensando implementare l’efficacia del proprio vaccino con una seconda dose. Non è ancora giunta l’ufficialità, ma sono già partite le prime richieste di autorizzazione.

La notizia è stata diffusa nelle ultime ore da un portavoce del colosso farmaceutico americano per celebrare gli ottimi risultati che sta fornendo una sperimentazione in corso, condotta per verificare i benefici di un eventuale richiamo per i soggetti immunizzati.

Per il momento l’azienda ha ipotizzato che l’eventuale richiamo potrebbe essere effettuato a 8 mesi dalla data di vaccinazione, proprio per aumentare il numero di anticorpi. Naturalmente l’iter per ottenere questo genere di approvazione è ancora molto lungo, ma vediamo ora qual è l’evoluzione e i passaggi necessari per questo studio.

I risultati dei trial clinici

I ricercatori dell’azienda statunitense puntano da tempo ad un potenziamento del numero di anticorpi presenti nei soggetti immunizzati. Le dichiarazioni rilasciate dai responsabili di Johnson&Johnson, infatti, non sono altro che la conferma di quello a cui i ricercatori della casa farmaceutica statunitense puntano da tempo.

Negli Stati Uniti e in Europa sono infatti 2.000 le persone che si sono sottoposte ai trial clinici per osservare la risposta immunitaria in seguito ad una seconda dose. I soggetti che hanno aderito alla campagna sono sotto stretto controllo, ma i risultati raccolti fino ad ora sembrano incoraggianti. Pare infatti che una seconda dose del vaccino Janssen provochi un aumento degli anticorpi di 9 volte rispetto ai 28 giorni successivi alla prima dose.

L’azienda ha poi specificato che per il momento i partecipanti stanno attraversando la fase 2 della sperimentazione. La loro età è compresa tra i 18 e i 55 anni, mentre per i soggetti che presentano un’età pari o superiore a 65 anni e che si siano sottoposti volontariamente alla sperimentazione, la dose è stata ridotta ed ora si analizzano le risposte specifiche di questo target.

Le prime notizie sull’andamento dei test erano già state divulgate a luglio tramite dei dati ad interim pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine, ma questi riguardano principalmente la durata degli anticorpi, i quali resistono nell’organismo fino a 8 mesi dopo la somministrazione.

Una volta appurato ciò, l’azienda ha quindi iniziato a ipotizzare una seconda dose e, anche per prevenire un eventuale aumento dei contagi o la diffusione di varianti aggressive, ha iniziato uno studio di fase 2 su soggetti già immunizzati. I risultati dello studio sono poi stati presentati a MedRxiv e pubblicati il 24 agosto.

Chi potrà ricevere la seconda dose?

Lo studio condotto fino ad ora ha preso in esame solamente soggetti che avevano ricevuto una dose dello stesso vaccino in precedenza. Quindi, a meno che non venga estesa l’analisi anche ad altri volontari, la somministrazione della seconda dose riguarderà esclusivamente i cittadini che hanno ricevuto una dose del vaccino Johnson&Johnson.

La precisazione è stata fatta da Mathai Mammen, M.D., Ph.D., Global Head, Janssen Research & Development di Johnson&Johnson.

Chi darà l’ok alla somministrazione?

Così come per la prima approvazione dei vaccini, qualsiasi variazione nella linea di produzione o di distribuzione delle dosi deve sempre essere esaminata dagli enti nazionali ed internazionali che disciplinano l’uso dei farmaci nei vari Paesi del mondo.

Per il momento la visione della casa farmaceutica sembra essere più che ottimistica: “non vediamo l’ora di confrontarci con i funzionari della salute pubblica per discutere di una potenziale strategia”, fanno infatti sapere dall’azienda.

Al momento Johnson&Johnson è in contatto con la FDA (Food and Drug Administration) degli Usa e con il suo omologo europeo, l’Ema (Agenzia europea per i medicinali).

Sono state contattate anche molte altre autorità sanitarie, come ad esempio la CDC (Centers for Disease Control and Prevention), l’agenzia federale americana con sede in Georgia che da tempo ormai si è schierato dalla parte del Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti. Inoltre occorre sottolineare che gli studi sono stati finanziati in parte con fondi federali.

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